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Delle "risse verbali" tra minori su Facebook rispondono i genitori
Di Admin (del 17/04/2012 @ 12:47:36, in diritto*internet, linkato 2417 volte)

Ricerca giuridica sul Web  (Copyright immagine dabobabo Fotolia.com) Così si è espresso il Tribunale di Teramo, Sezione distaccata di Giulianova, con la sentenza n. 18 del 16/01/2012:


« [...] Dunque si è di fronte ad una vera e propria "rissa verbale", scatenatasi tra minori (alcuni addirittura minori di anni 14) sul sito web denominato Facebook.

Trattasi in particolare, come è efficacemente spiegato, anche per i suoi riflessi (sempre più crescenti) di rilevanza giudiziaria, nella recente Trib. Monza sez. IV^ nr. 770/10, di un c.d. social network ad accesso gratuito fondato nel 2004 da uno studente dell'Università di Harvard al quale, a far tempo dal settembre 2006, può partecipare chiunque abbia compiuto dodici anni di età: peraltro, se scopo iniziale di F. era il mantenimento dei contatti tra studenti di università e scuole superiori di tutto il mondo, in soli pochi anni ha assunto i connotati di una vera e proprie rete sociale destinata a coinvolgere, in modo trasversale, un numero indeterminato di utenti o di navigatori Internet.

Questi ultimi partecipano creando "profili" contenenti fotografie e liste di interessi personali, scambiando messaggi (privati o pubblici) e aderendo ad un gruppo di c.d. "amici": quest'ultimo aspetto è rilevante, anche ai fini della presente decisione, in quanto la visione dei dati dettagliati del profilo di ogni singolo utente è di solito ristretta agli "amici" dallo stesso accettati.

F., come detto, include alcuni servizi tra i quali la possibilità per gli utenti di ricevere ed inviare messaggi e di scrivere sulla bacheca di altri utenti e consente di impostare l'accesso ai vari contenuti del proprio profilo attraverso una serie di "livelli" via via più ristretti e/o restrittivi (dal livello "Tutti" a quello intermedio "Amici di amici" ai soli "Amici") per di più in modo selettivo quanto ai contenuti o alle stesse "categorie" di informazioni inserite nel profilo medesimo.

Quindi, agendo opportunamente sul livello e sulle impostazioni del proprio profilo, è possibile limitare l'accesso e la diffusione dei propri contenuti, sia dal punto di vista soggettivo che da quello oggettivo.

È peraltro nota agli utenti di F. l'eventualità che altri possano in qualche modo individuare e riconoscere le tracce e le informazioni lasciate in un determinato momento sul sito, anche a prescindere dal loro consenso: trattasi dell'attività di c.d. "tagging" (tradotta in lingua italiana con l'uso del neologismo "taggare") che consente, ad esempio, di copiare messaggi e foto pubblicati in bacheca e nel profilo altrui oppure e-mail e conversazioni in chat, che di fatto sottrae questo materiale dalla disponibilità dell'autore e sopravvive alla stessa sua eventuale cancellazione dal social network.

I gestori del sito (statunitensi, secondo la Polizia Postale), pur reputandosi proprietari dei contenuti pubblicati, declinano ogni responsabilità civile e/o penale ad essi relativa (come dimostra, eloquentemente, una recentissima e dibattuta controversia giudiziaria riguardante il motore di ricerca Google).

In definitiva, coloro che decidono di diventare utenti di F. sono ben consci non solo delle grandi possibilità relazionali offerte dal sito, ma anche delle potenziali esondazioni dei contenuti che vi inseriscono: rischio in una certa misura indubbiamente accettato e consapevolmente vissuto.

Alla luce di tali considerazioni tecniche, appare evidente e condivisibile la preoccupazione della minore istante, e dei suoi genitori, per la diffusione effettiva e potenziale che quelle offese hanno avuto e potrebbero ancora avere dalla loro pubblicazione su quel sito web.

Se cioè, in soldoni, quella vera e propria "rissa verbale" tra minori si fosse consumata nella piazza reale del paese, probabilmente la baruffa si sarebbe conclusa con qualche energico richiamo o al massimo con qualche richiesta di chiarimento rivolta ai genitori dei minori che avevano pronunciato quelle frasi, ma essendosi verificata su quella piazza virtuale, che non conosce limiti alla potenziale diffusione ed esondazione delle offese ivi pubblicate, ben si comprende ogni sofferenza e tutte le preoccupazioni lamentate e denunciate in questa sede addirittura giudiziaria.

Appare a questo punto allora necessario procedere ad individuare il criterio di imputazione della responsabilità in capo ai genitori per i fatti illeciti commessi dai minori naturalmente capaci.

Ritiene lo scrivente di dover condividere sul punto quell'impostazione interpretativa, più rigorosa ed esigente in relazione ai compiti, al ruolo ed alle connesse responsabilità genitoriali, in forza della quale si afferma che i genitori dei minori naturalmente capaci di intendere e di volere, per andare esenti dalla responsabilità di cui all'art. 2048 cc, devono positivamente dimostrare non solo di avere adempiuto all'onere educativo indicato loro dall'art. 147 cc, che non consiste solo nella mera indicazione di regole, conoscenze o moduli di comportamento, bensì pure nel fornire alla prole gli strumenti indispensabili alla costruzione di relazioni umane effettivamente significative per la migliore realizzazione della loro personalità, ma anche di avere poi effettivamente e concretamente controllato che i figli abbiano assimilato l'educazione loro impartita; mentre d'altra parte la gravità e la reiterazione delle condotte poste in essere possono essere poi indice del grado di attuazione di una tale opera di verifica di acquisizione (in termini, App. Milano X^ 16.12.2009 su Resp.civ. e prev. 2010, 7-8).

Evidenziato altresì come la responsabilità genitoriale non venga meno con l'approssimarsi della maggiore età, allorquando invece (ed anzi) la personalità del minore è ancora fragile (nel senso di "indefinita") ed egli conserva l'inattitudine a dominare i propri istinti (Cass.III^ nr. 18804/09), che con l'approssimarsi della maggiore età tendono oltretutto a subìre nuove pulsioni, va ulteriormente ribadito come, ai fini dell'esonero dalla loro responsabilità, i genitori debbano in sostanza fornire la prova liberatoria di non aver potuto impedire il fatto; prova che si concretizza nella dimostrazione però, oltre di aver impartito una educazione consona alle proprie condiioni sociali e familiari, anche di avere esercitato sul medesimo una vigilanza adeguata all'età (Cass. III^ nr. 9509/07).

L'applicazione concreta di tali principi nella specifica fattispecie al vaglio non può non fare i conti allora con l'assoluta peculiarità dello strumento utilizzato per la diffusione delle frasi ingiuriose.

Per andare esenti da ogni responsabilità ai sensi dell'art. 2048 cc, i genitori odierni convenuti non avrebbero potuto limitarsi ad allegare e chiedere di comprovare (come hanno fatto ai capitoli a-f delle richieste istruttorie) di avere impartito al loro figlio minore un'educazione sostanzialmente consona alle proprie condizioni socio-economiche, ma avrebbero dovuto allegare e comprovare di avere anche poi posto in essere quelle attività di verifica e di controllo sull'effettiva acquisizione di quei valori da parte del minore; attività che invece, data la persistenza e reiterazione del comportamento ingiurioso-diffamatorio, consumatosi sul web lungo almeno tre giorni consecutivi, può agevolmente presumersi non essere stata posta in essere dai coniugi convenuti, quantomeno in modo adeguato.

D'altra parte, nel momento in cui i genitori, evidentemente consapevoli delle potenzialità e dei rischi di internet, acconsentono ad un accesso del proprio figlio minore alla rete, quella doverosa attività di verifica e controllo "a posteriori" dell'indottrinamento educativo del proprio figlio, pure in ipotesi prestato in tutta buona fede, non può non fare i conti con l'estrema pericolosità di quel navigare e della già evidenziata potenziale esondazione incontrollabile dei contenuti e delle proprie idee ivi manifestate.

Quella doverosa attività di vigilanza e controllo che investe i genitori deve allora necessariamente concretizzarsi, nello specifico, in una limitazione per forza di cose quantitativa e qualitativa di quell'accesso, proprio al fine di evitare (per quello che interessa in questa sede evidenziare e senza che appaia necessario sottolineare qui altri e forse pure ben più gravi rischi) che quel potente mezzo fortemente relazionale e divulgativo, e proprio per tali qualità tanto affascinante, nelle mani di soggetti ancora non in grado di discernere le conseguenze del proprio agire, possa trasformare una "baruffa (anche) chiozzotta" tra bambini, degna al massimo di un'energica lavata di testa, in una lotta in rete senza quartiere tra bande, all'esito della quale, in termini di reputazione e onorabilità di tutti i partecipanti, potrebbero restare solo macerie. E quella attività genitoriale di controllo "a posteriori" appare tanto più doverosa, e quindi ancor più richiedibile da chi ora è stato chiamato a giudicare con il rigore della regola di diritto, in un periodo storico in cui sollecitazioni negative in tal senso aggrediscono la sensibilità dei minori fin nei luoghi un tempo ritenuti più sicuri, come accade ad esempio attraverso i modelli comportamentali e relazionali diffusi dai massa-media più comuni e di facile accesso ad ogni ora della giornata, con continuità martellante.

Dunque, i caratteri della persistenza e della continuità, che quell'attività offensiva posta in essere dal minore ha nello specifico assunto (fino, come visto, alla creazione di un "gruppo" finalizzato ad offendere), inducono a ritenere ampiamente raggiunta la prova positiva dell'inadempimento da parte dei genitori convenuti a quel dovere di verifica dell'assimilazione effettiva dell'educazione pure eventualmente impartita al minore ed a quell'obbligo giuridico di controllo della corrispondenza concreta tra i principi pure in ipotesi inculcati ed i comportamenti concreti che il figlio quotidianamente poi pone in essere
[...] ».




A cura dell'Avvocato Giuseppe Briganti,
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