L'Avv.
Giuseppe Briganti è Avvocato in Urbino dal 2001 e mediatore
professionista e formatore nei corsi per mediatori dal 2011. Dal 2001
cura il sito www.iusreporter.it dedicato alla ricerca giuridica sul
Web e al diritto delle nuove tecnologie. Svolge attività di
docenza, è autore di pubblicazioni giuridiche e collabora con
riviste giuridiche
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Maksym Yemelyanov - Fotolia.com)
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In materia di arresti domiciliari la generica prescrizione di "non comunicare con persone diverse dai familiari conviventi" prevista dall'articolo 276, comma uno, del Codice di procedura penale, va intesa, secondo la Corte di Cassazione, nella accezione di divieto non solo di parlare con persone non della famiglia e non conviventi, ma anche di entrare in contatto con altri soggetti, dovendosi ritenere estesa, pur in assenza di prescrizioni dettagliate e specifiche, anche alle comunicazioni, sia vocali che scritte attraverso Internet.
L'uso di Internet, evidenzia la Corte, non può d'altra parte essere vietato tout court ove non si risolva in una comunicazione con terzi, comunque, attuata, ma abbia solamente funzione conoscitiva o di ricerca, senza entrare in contatto, tramite il web, con altre persone.
Così Corte di Cassazione, sentenza n. 37151 del 18/10/2010:
« IN FATTO
Il G.I.P. dei Tribunale di ..., con ordinanza in data 10 maggio 2010, rigettava la richiesta del PM di sostituzione, nei confronti di ... e ..., della misura degli arresti domiciliari con la custodia in carcere per avere gli stessi violato la prescrizione loro imposta di non comunicare con persone diverse dai familiari conviventi, comunicando via internet, sui sito "Facebook", con altre persone.
Proponeva ricorso per cassazione il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di ... ritenendo integrata la violazione della prescrizione di non comunicare con altre persone, imposte in sede di concessione della misura cautelare, stante i contatti intrattenuti con altre persone dagli imputati attraverso la rete.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è fondato.
La generica prescrizione di "non comunicare con persone diverse dai familiari conviventi" prevista dall'articolo 276, comma uno, c.p.p., va intesa nella accezione di divieto non solo di parlare con persone non della famiglia e non conviventi, ma anche di entrare in contatto con altri soggetti, dovendosi ritenere estesa, pur in assenza di prescrizioni dettagliate e specifiche, anche alle comunicazioni, sia vocali che scritte attraverso internet. L'uso di internet non può essere vietato tout court ove non si risolva in una comunicazione con terzi, comunque, attuata, ma abbia solamente funzione conoscitiva o di ricerca, senza di entrare in contatto, tramite il web, con altre persone.
La moderna tecnologia consente oggi un agevole scambio di informazioni anche con mezzi diversi dalla parola, tramite Web, e anche tale trasmissione di informazioni deve ritenersi ricompresa nel concetto di "comunicazione", pur se non espressamente vietata dal giudice, dovendo ritenersi previsto nel generico "divieto di comunicare", il divieto non solo di parlare direttamente, ma anche di comunicare, attraverso altri strumenti, compresi quelli informatici, sia in forma verbale che scritta o con qualsiasi altra modalità che ponga in contatto l'indagato con terzi ("pizzini", gesti, comunicazioni televisive anche mediate, etc.).
L'eventuale violazione di tale divieto va, comunque, provato dall'accusa e non può ritenersi presunto, nella fattispecie, dall'uso dello strumento informatico.
Non risulta, nella specie, alcuna motivazione da parte del G.I.P., in ordine all'eventuale comunicazione con terzi, posta in essere dall'indagato attraverso Facebook.
Va, quindi, annullato il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di ... per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di ... per nuovo esame ».
A cura dell'Avvocato Giuseppe Briganti, avvbriganti.iusreporter.it
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Il Garante privacy, come si legge nella newsletter dell'Autorità n. 342 del 12 ottobre 2010, con un provvedimento di cui è stato relatore Francesco Pizzetti ha invitato le associazioni di categoria interessate (operatori del settore, imprenditori, consumatori) a fornire il loro contributo in vista dell'adozione del codice che disciplinerà un ambito informativo di particolare rilievo per il sistema economico.
I dati registrati dalle imprese che operano nel settore delle informazioni commerciali, infatti, possono riguardare aspetti organizzativi, finanziari o patrimoniali dell'attività svolta dagli operatori economici, ma possono anche fare riferimento a persone fisiche che svolgono ruoli di particolare responsabilità nelle società.
Il Codice di deontologia e buona condotta dovrà, in particolare, fissare le regole per la raccolta, l'elaborazione e la conservazione di tali informazioni, individuando anche idonei meccanismi per favorire la qualità e l'esattezza dei dati utilizzati.
Tutti i soggetti appartenenti alle categorie interessate e che ritengano di avere titolo a sottoscrivere il codice, si legge ancora nella newsletter, sono dunque chiamati a comunicare la loro adesione o a confermarla se già espressa a seguito dell'invito formulato a suo tempo dall'Autorità.
Ai fini dell'ammissione ai lavori che porteranno all'adozione del Codice deontologico, il Garante, oltre a valutare la effettiva appartenenza alle categorie interessate alla sottoscrizione del codice, verificherà l'organizzazione e l'articolazione sul territorio dei soggetti che si ritengono rappresentativi, le attività da loro svolte in concreto anche con riferimento alla protezione dei dati personali, il numero dei soggetti effettivamente rappresentati in rapporto alla categoria.
Comunicazioni e documentazione potranno essere inoltrate, entro il 5 novembre 2010, al Garante per la protezione dei dati personali.
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Si segnala in materia il
Parere 2/2010 sulla pubblicità comportamentale online
del GRUPPO DI LAVORO ARTICOLO 29 PER LA PROTEZIONE DEI DATI
adottato il 22 giugno 2010
Sintesi del parere
« La pubblicità comportamentale prevede il tracciamento degli utenti durante la navigazione in rete e, nel tempo, la creazione di profili che vengono successivamente utilizzati per fornire agli utenti contenuti pubblicitari che rispondono ai loro interessi. Pur senza mettere in discussione i vantaggi economici derivanti dalla pubblicità comportamentale a favore delle parti interessate, il Gruppo di lavoro articolo 29 è del fermo parere che tale pratica non debba essere attuata a spese del diritto della persona al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati. Il quadro normativo dell'Unione europea in materia di protezione dei dati, che stabilisce garanzie specifiche, deve essere rispettato. Al fine di agevolare e promuovere l'ottemperanza a tali norme, il presente parere precisa il quadro giuridico applicabile ai soggetti coinvolti nella pubblicità comportamentale.
In particolare, nel parere si rileva che i fornitori di reti pubblicitarie sono vincolati all'articolo 5, paragrafo 3, della direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche ("direttiva e-privacy"), secondo il quale la collocazione di marcatori ("cookie") o di dispositivi analoghi nelle apparecchiature terminali degli utenti oppure la raccolta di informazioni mediante detti dispositivi è consentita solo previo consenso informato degli utenti. Si sottolinea che le impostazioni dei motori di ricerca ("browser") e i meccanismi di "opt-out" attualmente disponibili trasmettono il consenso soltanto in circostanze assai limitate. Si invitano quindi i fornitori di reti pubblicitarie a provvedere alla creazione di meccanismi di "opt-in" preliminare che richiedano un'azione positiva dell'interessato da cui risulti la volontà di ricevere cookie o dispositivi analoghi e di accettare il conseguente monitoraggio del comportamento di navigazione ai fini della trasmissione di pubblicità personalizzata. Nel parere si ritiene che l'accettazione dei singoli utenti a ricevere un cookie possa comportare anche l'accettazione delle letture successive del cookie e, quindi, del monitoraggio del comportamento di navigazione in rete. Pertanto, al fine di soddisfare i requisiti di cui all'articolo 5, paragrafo 3, non sarebbe necessario chiedere il consenso per ogni lettura dei cookie. Tuttavia, affinché gli interessati siano costantemente tenuti al corrente del monitoraggio, i fornitori di reti pubblicitarie dovrebbero: i) limitare nel tempo la portata del consenso; ii) offrire la possibilità di revocarlo con facilità; iii) creare strumenti visibili che appaiano durante il monitoraggio. Questo approccio consentirebbe di risolvere il problema del sovraccarico di messaggi agli utenti, assicurando nel contempo che l'invio dei cookie e il conseguente monitoraggio del comportamento di navigazione in rete ai fini della trasmissione di pubblicità personalizzata abbiano luogo solo con il consenso informato dell'interessato.
Poiché la pubblicità comportamentale si fonda sull'uso di identificatori che consentono la creazione di profili utente molto dettagliati, considerati nella maggior parte dei casi dati personali, si applica anche la direttiva 95/46/CE. Il presente parere contiene indicazioni sul modo in cui i fornitori di reti pubblicitarie dovrebbero conformarsi agli obblighi derivanti da tale direttiva, con specifico riferimento ai diritti di accesso, rettifica, cancellazione, conservazione, ecc. Dato che gli editori possono assumere alcune responsabilità per il trattamento dei dati effettuato ai fini della pubblicità comportamentale, nel parere si invitano gli editori a condividere con i fornitori di reti pubblicitarie la responsabilità di informare gli interessati, e si incoraggiano creatività e innovazione in questo settore. Considerata la natura della pubblicità comportamentale, il rispetto dei requisiti di trasparenza è una condizione essenziale affinché le persone possano esprimere il consenso alla raccolta e al trattamento dei loro dati personali ed effettuare una scelta reale. Il parere stabilisce gli obblighi informativi dei fornitori di reti pubblicitarie e degli editori nei confronti degli interessati, con riferimento, in particolare, alla direttiva e-privacy, la quale esige che l'utente sia informato "in modo chiaro e completo".
Il parere analizza e precisa gli obblighi stabiliti dal quadro normativo applicabile, ma non indica come adempiervi sotto il profilo tecnologico. Per contro, in diversi settori invita l'industria ad avviare un dialogo con il Gruppo di lavoro articolo 29 nella prospettiva di proporre strumenti tecnici e di altro tipo per conformarsi quanto prima al quadro normativo descritto nel parere stesso. A tal fine, il Gruppo di lavoro articolo 29 contatterà le parti interessate per ottenere contributi. I soggetti che non verranno esplicitamente consultati potranno inviare le loro osservazioni alla segreteria del Gruppo di lavoro articolo 29 ».
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Il titolare di un sito web che pubblica sul sito inserzioni pubblicitarie di donne che si offrono per incontri sessuali commette il reato di favoreggiamento della prostituzione purché tale attività sia accompagnata da ulteriori attività finalizzate ad agevolarne la prostituzione, al fine di rendere più allettante l'offerta e di facilitare l'approccio con un maggior numero di clienti.
La mera pubblicazione di annunci, non accompagnata da ulteriori attività, quali, nella fattispecie, l'essersi l'imputato interessato alle foto delle donne da pubblicare, l'aver contattato il fotografo per fare delle foto nuove, il far sottoporre le donne a servizi fotografici erotici, non è penalmente rilevante.
Ciò in quanto la mera pubblicazione di annunci viene solitamente considerata un normale servizio svolto a favore della persona della prostituta e non della prostituzione.
Così la Corte di Cassazione con la sentenza 18 marzo 2009 n. 26343:
« [...] MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene il Collegio che il ricorso sia infondato con riferimento al reato di favoreggiamento della prostituzione. La Corte d'appello ha infatti ritenuto sussistente tale reato perchè l'imputato non si era limitato a pubblicare gli annunci pubblicitari nel suo sito web - nel qual caso effettivamente si sarebbe dovuto adeguatamente motivare sulle ragioni per le quali non si era ritenuto trattarsi di una attività simile a quella svolta da molti quotidiani che pubblicano annunci pubblicitari del genere, solitamente considerati come un normale servizio svolto a favore della persona della prostituta e non della prostituzione - bensì perchè aveva svolto, oltre a quella della mera pubblicazione, una attività ulteriore e diversa, consistente nell'aver cooperato concretamente e dettagliatamente ad allestire la pubblicità delle donne che si offrivano per gli incontri sessuali, al fine evidentemente di rendere più allettante l'offerta e di facilitare l'approccio con un maggior numero di clienti, ed in particolare nell'essersi interessato alle foto delle donne da pubblicare, nel contattare il fotografo per fare delle foto nuove, nel fare sottoporre le donne a servizi fotografici erotici. Il Collegio quindi ritiene che non sia censurabile la motivazione con la quale la Corte d'appello ha considerato questa ulteriore attività finalizzata ad agevolare e favorire la prostituzione, facilitando le prostitute a trovare i clienti.
Sono invece fondati i motivi di ricorso relativi ai reati di induzione e sfruttamento della prostituzione. L'imputato infatti è stato ritenuto colpevole del reato di cui al capo B), ossia non solo di favoreggiamento della prostituzione, ma anche di induzione e sfruttamento della prostituzione di numerose donne, per avere procurato loro gli appartamenti in cui prostituirsi, per aver percepito un prezzo o un canone all'atto della cessione, e per essersi fatto consegnare la metà del denaro dalle prostitute.
Orbene, della sussistenza di quest'ultimi comportamenti nella sentenza impugnata non solo non viene indicato alcun elemento di prova ma nemmeno viene fornita una qualche motivazione.
In particolare, quanto all'attività di induzione, la Corte d'appello ha anche omesso di considerare che le persone che richiedevano le inserzioni pubblicitarie già svolgevano l'attività di prostituzione ancor prima di rivolgersi al ricorrente per la pubblicazione degli annunci sui siti web.
Per quanto concerne l'attività di sfruttamento della prostituzione, manca qualsiasi motivazione sul fatto che il [...] si fosse fatto consegnare - così come contestato e ritenuto dalla sentenza impugnata - metà del ricavato della prostituzione e il canone o il prezzo degli appartamenti ceduti. Anzi, anche per quanto concerne il reato di favoreggiamento della prostituzione, manca ogni motivazione sul fatto contestato - e per il quale anche l'imputato è stato condannato - di avere procurato alle donne gli appartamenti dove esercitare l'attività.
La motivazione è inoltre mancane anche sull'esistenza di un eventuale concorso del [...] con gli altri imputati nel compimento delle suddette attività, sebbene in ordine alle stessa una congrua ed adeguata motivazione era sicuramente necessaria, perchè il [...] era stato assolto dall'accusa di partecipazione all'associazione finalizzata al compimento delle attività delittuose in questione, e ciò in quanto era stato accertato che la sua attività era maggiormente defilata ed era sostanzialmente delimitata al suo lavoro di gestore dei siti web utilizzati per pubblicità delle prostitute. Manca pertanto una adeguata motivazione sulle ragioni per le quali è stato ritenuto provato che il ricorrente avrebbe concorso consapevolmente nelle suddette singole attività di induzione, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione (ossia nelle singole induzioni, nelle singole cessioni degli appartamenti, nelle singole riscossioni dei prezzi e nelle singole consegne del ricavato della prostituzione), e ciò evidentemente con una condotta che fosse autonomamente rilevante penalmente, essendo stata esclusa qualsiasi sua condotta di adesione ai fini ed agli scopi dell'associazione per delinquere [...] »
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Note legali. Quanto precede non costituisce né sostituisce una consulenza legale. Testi senza carattere di ufficialità
Tra le anticipazioni che circolano circa la prossima emanazione da parte del Ministero della Giustizia dell'atteso regolamento previsto dal decreto legislativo 28/2010 sulla mediazione in materia civile e commerciale, vi è anche quella secondo cui rimarrebbe esclusa la possibilità, da parte dell'organismo di mediazione, di utilizzare solo il canale telematico per lo svolgimento della procedura.
Tale esclusione, ove confermata, come già rilevato, a parere dello scrivente si porrebbe in contrasto con diverse previsioni, sia italiane che europee, che invece negli ultimi anni hanno inteso favorire, per ottime ragioni, le procedure conciliative on-line, soprattutto per quanto riguarda il commercio elettronico e i consumatori.
La "stravaganza" della scelta del Ministero è stata rilevata anche dal CNF, con il documento inviato all'ufficio legislativo di via Arenula lo scorso 6 ottobre.
Infatti, come si legge nel comunicato diffuso dal CNF:
« Diverse osservazioni riguardano la disciplina della procedura, disciplinata dal dm in "maniera puntuale, in netta controtendenza rispetto alla informalità e alla liberta delle forme tipiche delle Adr"; oltretutto, senza "copertura" della normativa primaria, che non affida al dm il compito di regolare la procedura; e segnata da soluzioni "stravaganti". Così è, per esempio, per la previsione che affida a un mediatore diverso da quello che ha condotto la mediazione la formulazione di una proposta. Il Cnf rileva "l'assoluta stravaganza della soluzione rispetto al panorama delle conciliazioni, visto che la nomina di una terzo finisce con il vanificare l'opera stessa di mediazione, non fondata sulla formulazione di un giudizio ma sulla ricerca di una soluzione negoziata e discussa con le parti". Dubbi sono espressi anche con riferimento alla mediazione per via telematica, ammessa dalla normativa primaria e negata da quella secondaria ».
Avvocato Giuseppe Briganti, avvbriganti.iusreporter.it
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Note legali. Quanto precede non costituisce né sostituisce una consulenza legale. Testi senza carattere di ufficialità
Con la sentenza n. 35511/2010 la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare che:
- bisogna riconoscere lo assoluta eterogeneità della telematica rispetto agli altri media sinora conosciuti e in particolare rispetto alla stampa
- perché possa parlarsi di stampa in senso giuridico (ai sensi dell'art. 1 della legge 47/1948), occorrono due condizioni che certamente il nuovo medium non realizza:
a) che vi sia una riproduzione tipografica (prius),
b) che il prodotto di tale attività (quella tipografica) sia destinato alla pubblicazione e quindi debba essere effettivamente distribuito tra il pubblico (posterius)
- l'art. 14 D. Lsvo 9.4.2003 n. 70 sul commercio elettronico chiarisce che non sono responsabili dei reati commessi in rete gli access provider, i service provider e -a fortiori- gli hosting provider, a meno che non fossero al corrente del contenuto criminoso del messaggio diramato (ma in tal caso essi devono rispondere a titolo di concorso nel reato doloso e non ex art. 57 cod.pen.)
- qualsiasi tipo di coinvolgimento va escluso (tranne, anche in questo caso, per l'ipotesi di concorso) per i coordinatori dei blog e dei forum
- l'omesso controllo ex art. 57 cod.pen. non è realizzabile da chi non sia direttore di un giornale cartaceo
- né con la legge 7 marzo 2001 n. 62 sull'editoria, né con il D. Lsvo 70/2003, è stata effettuata la estensione della operatività dell'art. 57 cod.pen. dalla carta stampata ai giornali telematici, essendosi limitato il testo del 2001 a introdurre la registrazione dei giornali on-line (che dunque devono necessariamente avere al vertice un direttore) solo per ragioni amministrative e, in ultima analisi, perché possano essere richieste le provvidenze previste per l'editoria (come ha chiarito il successivo D. Lsvo 70/2003)
- allo stato, dunque, "il sistema" non prevede lo punibilità ai sensi dell'art. 57 cod.pen. (o di un analogo meccanismo incriminatorio) del direttore di un giornale on-line
- risultano d'altra parte pendenti diverse ipotesi di estensione della responsabilità ex art. 57 cod.pen. al direttore del giornale telematico (il che costituisce ulteriore riprova che -ad oggi- tale responsabilità non esiste)
Si legge nella sentenza:
« L'art. 57 cp punisce, come è noto, il direttore del giornale che colposamente non impedisca che, tramite lo pubblicazione sul predetto mezzo di informazione, siano commessi reati. Il codice, per altro, tra i mezzi di informazione, distingue la stampa rispetto a tutti gli altri mezzi di pubblicità (art. 595 comma III cp.) e l'art. 57 si riferisce specificamente alla informazione diffusa tramite lo "carta stampata". La lettera della legge è inequivoca e a tale conclusione porta anche l'interpretazione "storica" della norma.
In dottrina e in giurisprudenza si è comunque discusso circa la estensibilità del concetto di stampa, appunto agli altri mezzi di comunicazione. E così una risalente pronunzia (ASN 198900259-RV 180713) ha escluso che fosse assimilabile al concetto di stampato lo videocassetta preregistrata, in quanto essa viene riprodotta con mezzi diversi da quelli meccanici e fisico-chimici richiamati dall'art. 1 della legge 47/48.
D'altra parte, è noto che la giurisprudenza ha concordemente negato (ad eccezione della sentenza n. 12960 della Sez. feriale, p.u. 31.8.2000, dep. 12.12.2000, ric. Cavallino, non massimata) che al direttore della testata televisiva sia applicabile la normativa di cui all'art. 57 cp (cfr, ad es. ASN 200834717-RV 240687; ASN 199601291-RV 205281), stante lo diversità strutturale tra i due differenti mezzi di comunicazione (fa stampa, da un lato, lo radiotelevisione dall'altro) e lo vigenza nel diritto penale del principio di tassatività.
Analogo discorso, a parere di questo Collegio, deve esser fatto per quel che riguarda lo assimilabilità di internet (rectius del suo "prodotto") al concetto di stampato.
L'orientamento prevalente in dottrina è stato negativo, atteso che, perché possa parlarsi di stampa in senso giuridico (appunto ai sensi del ricordato art. 1 della legge 47/48), occorrono due condizioni che certamente il nuovo medium non realizza: a) che vi sia una riproduzione tipografica (prius), b) che il prodotto di tale attività (quella tipografica) sia destinato alla pubblicazione e quindi debba essere effettivamente distribuito tra il pubblico (posterius).
Il fatto che il messaggio internet (e dunque anche lo pagina del giornale telematico) si possa stampare non appare circostanza determinante, in ragione della mera eventualità, sia oggettiva, che soggettiva. Sotto il primo aspetto, si osserva che non tutti i messaggi trasmessi via internet sono "stampabili": sì pensi ai video, magari corredati di audio; sotto il secondo, basta riflettere sulla circostanza che, in realtà, è il destinatario colui che, selettivamente ed eventualmente, decide di riprodurre a stampa lo "schermata".
E se è pur vero che la "stampa" -normativamente intesa-ha certamente a oggetto, come si é premesso, messaggi destinati alla pubblicazione, è altrettanto vero che deve trattarsi -e anche questo si è anticipato- di comunicazioni che abbiano veste di riproduzione tipografica.
Se pur, dunque, le comunicazioni telematiche sono, a volte, stampabili, esse certamente non riproducono stampati (è in realtà la stampa che -eventualmente- riproduce la comunicazione, ma non la incorpora, così come una registrazione "domestica" di un film trasmesso dalla TV, riproduce -ad uso del fruitore- un messaggio, quello cinematografico appunto, già diretto "al pubblico" e del quale, attraverso lo duplicazione, in qualche modo il fruitore stesso si appropria, oggettivizzandolo).
Bisogna pertanto riconoscere lo assoluta eterogeneità della telematica rispetto agli altri media, sinora conosciuti e, per quel che qui interessa, rispetto alla stampa.
D'altronde, non si può non sottolineare che differenti sono le modalità tecniche di trasmissione del messaggio a seconda del mezzo utilizzato: consegna materiale dello stampato e sua lettura da parte del destinatario, in un caso (stampa), irradiazione nell'etere e percezione da parte di chi si sintonizza, nell'altro (radio e TV), infine, trasmissione telematica tramite un ISP (internet server provider), con utilizzo di rete telefonica nel caso di internet.
Ad abundantiam si può ricordare che l'art. 14 D. Lsvo 9.4.2003 n. 70 chiarisce che non sono responsabili dei reati commessi in rete gli access provider, i service provider e -a fortiori- gli hosting provider (cfr. in proposito ASN 200806046-RV 242960), a meno che non fossero al corrente del contenuto criminoso del messaggio diramato (ma, in tal caso, come è ovvio, essi devono rispondere a titolo di concorso nel reato doloso e non certo ex art 57 cp).
Qualsiasi tipo di coinvolgimento poi va escluso (tranne, ovviamente, anche in questo caso, per l'ipotesi di concorso) per i coordinatori dei blog e dei forum.
Non diversa è la figura del direttore del giornale diffuso sul web.
Peraltro, anche nel caso oggi in esame, sarebbe, invero, ipotizzabile, in astratto, la responsabilità del direttore del giornale telematico, se fosse stato d'accordo con l'autore della lettera (lo stesso discorso varrebbe per un articolo giornalistico). A maggior ragione, poi, se lo scritto fosse risultato anonimo.
Ma -è del tutto evidente- in tal caso il direttore avrebbe dovuto rispondere del delitto di diffamazione (eventualmente in concorso) e non certo di quello di omesso controllo ex art 57 cp, che come premesso, non è realizzabile da chi non sia direttore di un giornale cartaceo.
Al [...], tuttavia, è stato contestato il delitto colposo ex art 57 cp e non quello doloso ex art 595 cp.
Sul piano pratico, poi, non va trascurato che la c.d. interattività (la possibilità di interferire sui testi che si leggono e si utilizzano) renderebbe, probabilmente, vano -o comunque estremamente gravoso- il compito di controllo del direttore di un giornale on line.
Dunque, accanto all'argomento di tipo sistematico (non assimilabilità normativamente determinata del giornale telematica a quello stampato e inapplicabilità nel settore penale del procedimento analogico in malam partem), andrebbe considerata anche la problematica esigibilità della ipotetica condotta di controllo del direttore (con quel che potrebbe significare sul piano della effettiva individuazione di profili di colpa).
Da ultimo, va considerata anche la implicita voluntas legis, atteso che, da un lato, risultano pendenti diverse ipotesi di estensione della responsabilità ex art 57 cp al direttore del giornale telematico (il che costituisce ulteriore riprova che -ad oggi- tale responsabilità non esiste), dall'altro, va pur rilevato che il legislatore, come ricordato dal ricorrente, è effettivamente intervenuto, negli ultimi anni, sulla materia senza minimamente innovare sul punto.
Invero, né con la legge 7 marzo 2001 n. 62, né con il già menzionato D.Lsvo del 2003, è stata effettuata la estensione della operatività dell'art. 57 cp dalla carta stampata ai giornali telematici, essendosi limitato il testo del 2001 a introdurre la registrazione dei giornali on line (che dunque devono necessariamente avere al vertice un direttore) solo per ragioni amministrative e, in ultima analisi, perché possano essere richieste le provvidenze previste per l'editoria (come ha chiarito il successivo D. Lsvo).
Allo stato, dunque, "il sistema" non prevede lo punibilità ai sensi dell'art 57 cp (o di un analogo meccanismo incriminatorio) del direttore di un giornale on line ».
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