Studio Legale Avvocato Giuseppe Briganti. Consulenza legale on-line e a distanza. Assistenza legale Pesaro - Urbino e tutta Italia

Studio Legale Avvocato Giuseppe Briganti  - consulenza e assistenza legaleL'Avv. Giuseppe Briganti è Avvocato in Urbino dal 2001 e mediatore professionista e formatore nei corsi per mediatori dal 2011. Dal 2001 cura il sito www.iusreporter.it dedicato alla ricerca giuridica sul Web e al diritto delle nuove tecnologie. Svolge attività di docenza, è autore di pubblicazioni giuridiche e collabora con riviste giuridiche
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.

Di Admin (del 12/01/2009 @ 14:16:31, in risposte, linkato 2295 volte)

Diritto e Internet (Copyright immagine khz) Il Codice della privacy (decreto legislativo 196/2003) prevede che l'interessato, al fine di tutelare i propri diritti, possa rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali (www.garanteprivacy.it) o, in alternativa, al giudice ordinario.

Forme di tutela dinanzi al Garante

L'art. 141 del Codice della privacy, nell'enunciare le forme di tutela disponibili dinanzi al Garante prevede che l'interessato possa rivolgersi all'Autorità:

a) mediante reclamo circostanziato (nei modi previsti dall'art. 142), per rappresentare una violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento di dati personali;

b) mediante segnalazione, se non è possibile presentare il reclamo circostanziato di cui sopra, al fine di sollecitare un controllo da parte del Garante sulla disciplina medesima;

c) mediante ricorso, se intende far valere gli specifici diritti di cui all'art. 7 secondo le modalità e per conseguire gli effetti previsti dagli artt. 145-151.

Avv. Giuseppe Briganti
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Di Admin (del 07/01/2009 @ 15:00:43, in risposte, linkato 2206 volte)

Ricerca giuridica sul Web  (Copyright immagine dabobabo Fotolia.com) Il Codice della privacy (decreto legislativo 196/2003), agli articoli 7-10, regola i diritti dell'interessato.


In base all'art. 7 ("Diritto di accesso ai dati personali ed altri diritti"), comma 1, del Codice, l'interessato ha dunque, innanzitutto, diritto di ottenere la conferma dell'esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile.

In base al secondo comma della medesima disposizione, l'interessato ha inoltre diritto di ottenere l'indicazione:

a) dell'origine dei dati personali che lo riguardano;

b) delle finalità e modalità del trattamento;

c) della logica applicata in caso di trattamento effettuato con l'ausilio di strumenti elettronici;

d) degli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell'art. 5, comma 2;

e) dei soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati.

L'interessato ha altresì diritto di ottenere (art. 7, comma 3):

a) l'aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l'integrazione dei dati;

b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;

c) l'attestazione che le operazioni di cui alle precedenti lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.

L'interessato ha, infine, diritto di opporsi, in tutto o in parte (art. 7, comma 4):

a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;

b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.

I successivi articoli del Codice della privacy regolano poi l'esercizio dei diritti riconosciuti dall'art. 7.

Secondo quanto previsto dall'art. 8 ("Esercizio dei diritti"), dunque, i diritti di cui all'art. 7 appena esaminato sono esercitati, in linea generale, con richiesta rivolta senza formalità al titolare o al responsabile del trattamento, anche per il tramite di un incaricato, alla quale è fornito idoneo riscontro senza ritardo.

L'art. 9 ("Modalità di esercizio") del Codice prevede che la richiesta rivolta al titolare o al responsabile ex art. 8 possa essere trasmessa anche mediante lettera raccomandata, telefax o posta elettronica. Il Garante può d'altra parte individuare altro idoneo sistema in riferimento a nuove soluzioni tecnologiche.

Quando riguarda l'esercizio dei diritti di cui all'art. 7, commi 1 e 2, sopra esaminati, la richiesta può essere formulata anche oralmente e in tal caso è annotata sinteticamente a cura dell'incaricato o del responsabile.

Nell'esercizio dei diritti di cui all'art. 7, l'interessato può conferire, per iscritto, delega o procura a persone fisiche, enti, associazioni od organismi. L'interessato può, altresì, farsi assistere da una persona di fiducia.

L'identità dell'interessato deve essere verificata sulla base di idonei elementi di valutazione, anche mediante atti o documenti disponibili o esibizione o allegazione di copia di un documento di riconoscimento (art. 9, comma 4). Se l'interessato è una persona giuridica, un ente o un'associazione, la richiesta è avanzata dalla persona fisica legittimata in base ai rispettivi statuti od ordinamenti.

La richiesta di cui all'art. 7, commi 1 e 2, sopra esaminati, deve essere formulata liberamente e senza costrizioni e può essere rinnovata, salva l'esistenza di giustificati motivi, con intervallo non minore di novanta giorni.

Al fine di garantire l'effettivo esercizio dei diritti di cui all'art. 7, il titolare del trattamento è tenuto ad adottare idonee misure volte, in particolare (art. 10, comma 1):

a) ad agevolare l'accesso ai dati personali da parte dell'interessato, anche attraverso l'impiego di appositi programmi per elaboratore finalizzati ad un'accurata selezione dei dati che riguardano singoli interessati identificati o identificabili;

b) a semplificare le modalità e a ridurre i tempi per il riscontro al richiedente, anche nell'ambito di uffici o servizi preposti alle relazioni con il pubblico.

I dati sono estratti a cura del responsabile o degli incaricati e possono essere comunicati al richiedente anche oralmente, ovvero offerti in visione mediante strumenti elettronici, sempre che in tali casi la comprensione dei dati sia agevole, considerata anche la qualità e la quantità delle informazioni. Se vi è richiesta, si provvede alla trasposizione dei dati su supporto cartaceo o informatico, ovvero alla loro trasmissione per via telematica.

Salvo che la richiesta sia riferita ad un particolare trattamento o a specifici dati personali o categorie di dati personali, il riscontro all'interessato deve comprendere tutti i dati personali che riguardano l'interessato comunque trattati dal titolare.

Come rivolgere le proprie richieste al titolare del trattamento di dati personali?

Il Garante per la privacy ha predisposto un modello per l'esercizio da parte dell'interessato dei diritti in materia di protezione dei dati personali, secondo quanto previsto dagli artt. 7 e 8 del Codice.

Tramite detto modello, l'interessato può rivolgersi al titolare o al responsabile del trattamento dei dati per proporre le proprie richieste in ordine a:

accesso ai dati personali

notizie sul trattamento dei dati

opposizione al trattamento per fini pubblicitari

opposizione al trattamento per motivi legittimi.

Il modello può essere scaricato dal sito web del Garante per la protezione dei dati personali: www.garanteprivacy.it




Avv. Giuseppe Briganti
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Di admin (del 22/12/2008 @ 14:21:27, in avvisi, linkato 2071 volte)

 Natale 2008 (Copyright immagine tolchik, www.sxc.hu)

Buone Feste a tutti!

 Avv. Giuseppe Briganti








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Di Admin (del 17/12/2008 @ 12:11:32, in risposte, linkato 7951 volte)

Diritto (Copyright immagine woodsy) In linea generale, la legge italiana prevede la celebrazione del matrimonio - civile - per procura nei casi di cui all'articolo 111 del Codice civile, il quale così dispone:

"[I]. I militari e le persone che per ragioni di servizio si trovano al seguito delle forze armate possono, in tempo di guerra, celebrare il matrimonio per procura.

[II]. La celebrazione del matrimonio per procura può anche farsi se uno degli sposi risiede all'estero e concorrono gravi motivi da valutarsi dal tribunale nella cui circoscrizione risiede l'altro sposo. L'autorizzazione è concessa con decreto non impugnabile emesso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero.

[III]. La procura deve contenere la indicazione della persona con la quale il matrimonio si deve contrarre.

[IV]. La procura deve essere fatta per atto pubblico; i militari e le persone al seguito delle forze armate, in tempo di guerra, possono farla nelle forme speciali ad essi consentite.

[V]. Il matrimonio non può essere celebrato quando sono trascorsi centottanta giorni da quello in cui la procura è stata rilasciata.

[VI]. La coabitazione, anche temporanea, dopo la celebrazione del matrimonio, elimina gli effetti della revoca della procura, ignorata dall'altro coniuge al momento della celebrazione".

Avv. Giuseppe Briganti

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dicembre 2008



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Di Admin (del 07/11/2008 @ 18:59:00, in risposte, linkato 9406 volte)

Legge (Copyright immagine dynamix) Afferma la Corte di Cassazione (Cassazione civile, Sez. II, 18 aprile 2002, n. 5635):

<<...L'elemento distintivo tra contratto definitivo e contratto preliminare di vendita è dato dalla volontà delle parti, che intendono, con l'uno, determinare direttamente il trasferimento della proprietà o di altro diritto, mentre, con il secondo, perseguono indirettamente il medesimo scopo obbligandosi a prestare in un momento successivo il consenso al trasferimento stesso; ne consegue che, allorché le parti, dopo aver stipulato un contratto preliminare, siano poi addivenute alla stipulazione del previsto contratto definitivo, quest'ultimo costituisce l'unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto, in quanto il contratto preliminare, determinando soltanto l'obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, esaurisce la sua funzione al momento della stipulazione stessa e resta superato dalla nuova manifestazione di volontà, le cui espressioni, con riguardo all'entità od estensione dell'oggetto delle obbligazioni nonché alle modalità ed alle condizioni della loro esecuzione, possono anche non essere conformi a quelle del preliminare senza che per ciò sia necessario un distinto accordo novativo, dacché il definitivo toglie efficacia al preliminare ed i relativi termini nei quali la convenzione è consacrata vengono a costituire la disciplina unica del rapporto...>>

Avv. Giuseppe Briganti

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novembre 2008

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Di Admin (del 03/11/2008 @ 18:57:47, in risposte, linkato 3827 volte)

Leggi, sentenze, articoli (Copyright foto James Steidl - Fotolia.com) Articolo 2105 del Codice civile

<<Obbligo di fedeltà. - Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio>>.

La Corte di Cassazione (Cass. civile sez. lav. 5 dicembre 1990 n. 11657) ha avuto occasione di affermare in proposito che:

<<...L'obbligo di fedeltà del lavoratore subordinato (art. 2105 cod. civ.), - secondo l'insegnamento di questa Corte (vedine, per tutte, le sentenze n. 3719-88, 8299, 6342, 1711, 495-87) -, va collegato ed "integrato" con le clausole generali di correttezza e buona fede (art. 1175, 1325 c.c.) ed impone al lavoratore di tenere un comportamento leale verso il datore di lavoro, di astenersi da qualsiasi atto idoneo a nuocergli, anche potenzialmente, e, segnatamente, dal compimento di atti univocamente volti alla costituzione di società (oppure di impresa individuale), avente per oggetto la medesima attività economica del datore di lavoro (v. Cass. 495-87, cit., 535-67)...>>.

Avv. Giuseppe Briganti

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Di Admin (del 25/10/2008 @ 11:39:55, in pubblicazioni, linkato 3841 volte)

Sempre più rilevanza assumono oggi le questioni legate alla celebrazione all'estero del matrimonio da parte del cittadino italiano, sia nel caso di matrimonio con uno straniero sia nel caso di nubendi entrambi italiani. Per i più vari motivi infatti anche cittadini residenti in Italia scelgono con una certa frequenza di sposarsi in un altro Stato.

L'art. 16 del DPR 396/2000 (nuovo ordinamento dello stato civile)[1] prevede che il matrimonio all'estero, quando gli sposi sono entrambi cittadini italiani o uno di essi è cittadino italiano e l'altro è cittadino straniero, può essere celebrato innanzi all'autorità diplomatica o consolare competente, oppure innanzi all'autorità locale secondo le leggi del luogo; in quest'ultimo caso una copia dell'atto è rimessa a cura degli interessati all'autorità diplomatica o consolare.

La celebrazione del matrimonio all'estero da parte del cittadino italiano residente in Italia può avvenire pertanto dinanzi all'autorità consolare italiana[2] o dinanzi all'autorità locale. In questa sede ci si soffermerà su tale ultima modalità[3].

Secondo l'art. 27 L. 218/1995[4] di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio sono regolate dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio. Resta salvo lo stato libero che uno dei nubendi abbia acquistato per effetto di un giudicato italiano o riconosciuto in Italia.

La legge che stabilisce un impedimento al matrimonio determina anche le conseguenze della violazione di esso, i termini per farlo valere, gli eventuali effetti di un certo periodo di vita in comune[5].

Occorre in proposito ricordare altresì l'art. 115, comma 1, del codice civile, il quale prevede, con riguardo al matrimonio del cittadino all'estero, che detto cittadino italiano sia comunque soggetto alle norme italiane sulle "condizioni necessarie per contrarre matrimonio" stabilite dagli artt. 84 e segg. cod. civ.

Le condizioni richiamate, com'è noto, riguardano l'età (art. 84), la sanità mentale (art. 85), l'inesistenza di precedente vincolo matrimoniale (art. 86). Sono previsti inoltre impedimenti dirimenti: inesistenza di determinati vincoli di parentela, affinità, adozione tra i nubendi (art. 87); l'ipotesi del "delitto" (art. 88).

La mancanza di uno dei requisiti o l'esistenza di uno degli impedimenti suddetti rendono il matrimonio eventualmente contratto invalido con riferimento all'ordinamento giuridico italiano.

La legge italiana prevede altresì degli impedimenti al matrimonio (impedimenti impedienti) che non comportano una invalidità di esso ma una sua semplice irregolarità, la cui unica conseguenza è l'applicazione di una sanzione pecuniaria nei confronti degli sposi, peraltro di importo minimo (artt. 134 e 140 cod. civ.).

Tali impedimenti sono costituiti dal lutto vedovile (art. 89) e dall'omissione delle pubblicazioni, di cui si tratterà nel prosieguo.

Secondo l'art. 28 L. 218/1995, il matrimonio contratto all'estero è valido, quanto alla forma, se è considerato tale dalla legge del luogo di celebrazione o dalla legge nazionale di almeno uno dei coniugi al momento della celebrazione o dallo Stato di comune residenza in tale momento.

Come si vede, la norma pone tre criteri tra loro concorrenti per stabilire la validità dal punto di vista formale del matrimonio: basta che uno di essi sia soddisfatto per aversi un matrimonio valido per l'ordinamento giuridico italiano.

D'altra parte, deve essere preso in considerazione anche l'art. 16 L. 218/1995, il quale prevede che la legge straniera non è applicata se i suoi effetti sono contrari all'ordine pubblico, con le conseguenze di cui al secondo comma della medesima disposizione[6].

Occorre ricordare in proposito che la Suprema Corte ha avuto modo di esprimersi sulla compatibilità con l'ordine pubblico del matrimonio islamico con una pronuncia che, ancorché riferita alla disciplina anteriore alla L. 218/1995, conserva tutt'oggi la propria rilevanza.

Con detta decisione[7], la Corte di Cassazione ha affermato che l'insostenibilità della tesi secondo cui ad un matrimonio contratto da cittadino italiano all'estero - sia pure nel rispetto delle forme ivi stabilite ed in presenza delle persone - non potrebbe riconoscersi alcun effetto giuridico, ove la lex loci preveda caratteristiche contrastanti con i principi fondamentali del nostro ordinamento, discende dal principio del cd. favor matrimonii, alla cui stregua l'atto non perde validità se non sia stato impugnato per una delle ragioni indicate negli artt. 117 e ss. cod. civ. - nelle quali non può essere ricompresa quella del matrimonio contratto secondo un rito che preveda la poligamia e/o lo scioglimento del vincolo ad nutum - e non sia intervenuta una pronuncia di nullità o di annullamento[8].

Ne deriva che, in virtù della validità interinale del matrimonio contratto da cittadino italiano all'estero pur secondo una legge che consenta la poligamia e/o il ripudio, ma nel rispetto delle forme ivi stabilite e ricorrendo i requisiti sostanziali di stato e capacità delle persone, non si può disconoscerne l'idoneità a produrre effetti nel nostro ordinamento, sino a quando non se ne deduca la nullità e non intervenga una pronuncia sul punto[9].

Non mancano d'altra parte taluni i quali sostengono che il matrimonio islamico, prevedendo istituti quali la poligamia ed il ripudio, non possa produrre alcun effetto nel nostro ordinamento giuridico per contrarietà all'ordine pubblico e al buon costume, trattandosi di un matrimonio privo del requisito dell'assunzione dell'obbligo reciproco di fedeltà, requisito da ritenersi essenziale per la configurabilità giuridica del matrimonio nel nostro ordinamento[10].

Secondo l'opinione prevalente, come sopra illustrato, non è tuttavia possibile trarre dai suddetti caratteri del matrimonio islamico la conseguenza automatica della sua inefficacia nel nostro ordinamento, sempreché il matrimonio sia stato contratto nel rispetto delle forme stabilite dalla legge del luogo di celebrazione e sempreché sussistano i requisiti di stato e capacità dei contraenti.

Il matrimonio contratto all'estero dal cittadino italiano residente in Italia nelle forme previste dalla legge del luogo di celebrazione deve essere preceduto dalle pubblicazioni e deve essere seguito dalla trascrizione dell'atto nei registri dello stato civile italiano.

Con riguardo alle pubblicazioni, a tale conclusione si deve pervenire nonostante l'abrogazione dell'art. 115, comma 2, cod. civ.[11].

Tuttavia, la mancanza di siffatti adempimenti (pubblicazione e trascrizione), come già in parte accennato, non pregiudica la validità del matrimonio. La trascrizione in particolare non ha natura costitutiva, ma semplicemente dichiarativa e di pubblicità.

Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte infatti, in linea di principio, i matrimoni celebrati all'estero tra italiani e stranieri hanno immediata validità nel nostro ordinamento qualora risultino celebrati secondo le forme previste dalla legge straniera[12]; la loro trascrizione in Italia assume valore meramente certificativo.

Peraltro, nell'ipotesi in cui manchino i requisiti sostanziali relativi allo stato ed alla capacità delle persone previsti dalla legge italiana, l'atto di matrimonio non perde la sua validità fino a quando non sia impugnato per una delle ragioni previste dall'art. 117 cod. civ. e non sia intervenuta una pronuncia di nullità o di annullamento[13].

La Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare altresì, in senso conforme, che le norme di diritto internazionale privato attribuiscono ai matrimoni celebrati all'estero tra cittadini italiani o tra italiani e stranieri immediata validità e rilevanza nel nostro ordinamento, sempre che essi risultino celebrati secondo le forme previste dalla legge straniera (e, quindi, spieghino effetti civili nell'ordinamento dello Stato straniero) e sempre che sussistano i requisiti sostanziali relativi allo stato e alla capacità delle persone previsti dalla legge italiana; tale principio - prosegue la Suprema Corte - non è condizionato dall'osservanza delle norme italiane relative alla trascrizione, atteso che questa non ha natura costitutiva, ma meramente certificativa, e scopo di pubblicità di un atto già di per sé valido sulla base del principio locus regit actum[14].

Né le pubblicazioni né la trascrizione sono dunque richieste per la validità del matrimonio contratto all'estero da cittadini italiani secondo la legge straniera; matrimonio che è immediatamente valido e rilevante per l'ordinamento giuridico italiano.

Con riguardo alle pubblicazioni, occorre peraltro precisare quanto segue.

La pubblicazione può diventare indispensabile al fine di contrarre matrimonio all'estero allorché il Paese prescelto richieda preliminarmente un'attestazione della mancanza di impedimenti al matrimonio o richieda il rilascio del certificato di capacità matrimoniale di cui alla Convenzione di Monaco del 5 settembre 1980[15]: tali documenti possono essere infatti rilasciati solo dopo che sia stato dato corso alle pubblicazioni e non ne siano conseguite opposizioni[16].

Con riguardo invece alla trascrizione in Italia dell'atto di matrimonio celebrato all'estero, sarà cura degli interessati trasmettere copia dell'atto alle competenti autorità diplomatiche o consolari italiane o direttamente all'ufficiale di stato civile italiano richiedendone la trascrizione[17].

Deve precisarsi che la trascrizione diventa necessaria per l'efficacia del matrimonio - si ritiene - solo nel caso di matrimonio cattolico contratto all'estero da cittadino italiano in uno Stato che ad esso non ricolleghi effetti civili, al fine di realizzare la fattispecie del matrimonio canonico-concordatario[18].

Per quanto concerne infine la prova del matrimonio contratto all'estero da un cittadino italiano, essa è costituita dall'atto di celebrazione estratto dai registri dello stato civile dello Stato straniero[19].

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Attenzione: articolo originariamente pubblicato nel luglio 2004 e aggiornato a tale data


[1] DPR 3 novembre 2000, n. 396, Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, ai sensi dell'art. 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127, GU 303 del 30 dicembre 2000, Suppl. ord.

[2] La celebrazione davanti all'autorità diplomatica o consolare italiana all'estero è regolata dagli artt. 10 ss. della legge consolare (DPR 5/01/1967 n. 200, Disposizioni sulle funzioni e sui poteri consolari, GU 98 del 19/04/1967, Suppl. ord.).

[3] Sull'argomento, si veda T. Ballarino, Diritto Internazionale Privato, Padova, Cedam; R. Calvigioni, Matrimonio degli italiani all'estero: pubblicazione e trascrizione, disponibile su www.anusca.it all'indirizzo www.anusca.it/RelazioniXXIIIConvegno/RENZO-CALVIGIONI.rtf; P. Grassano, Del matrimonio celebrato da cittadino italiano all'estero; sua validità interinale fino a quando, nel caso di sua impugnativa, non intervenga pronuncia di nullità o di annullabilità, disponibile su www.sepel.it all'indirizzo www.sepel.it/sci/arti2003/pag-501.pdf.

[4] Legge 31 maggio 1995, n. 218, Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, GU Serie gen. 128 del 3 giugno 1995, Suppl. ord.

[5] Ballarino, op. cit.

[6] L'art. 16, comma 2, L. 218/1995 stabilisce che, qualora non sia possibile applicare la legge straniera richiamata dalle norme di conflitto, "si applica la legge richiamata mediante altri criteri di collegamento eventualmente previsti per la medesima ipotesi normativa. In mancanza si applica la legge italiana".

[7] Cass. civ., sez. I, 2/03/1999, n. 1739, in Riv. dir. internaz. priv. e proc., 1999, 613.

[8] La Corte di Cassazione prende in esame anche l'opinione secondo cui, nell'ipotesi di matrimonio islamico (e, in ogni caso, contratto secondo una legge che ammetta la poligamia od il ripudio unilaterale), l'atto non potrebbe nemmeno essere qualificato come matrimonio nel senso voluto dal nostro ordinamento poiché il vizio riguarderebbe lo stesso consenso.

In proposito la S.C. rileva che il principio del "favor matrimonii" e, quindi, della sua validità interinale non soffre eccezioni in situazioni che pur configurano la medesima incompatibilità ontologica con l'ordine pubblico ed attengono, in diversa misura, alla validità del consenso, quali il matrimonio contratto in violazione degli artt. 84, 86, 87 e 88 cod. civ.: in ipotesi, cioè, espressamente previste dall'art. 117 cod. civ. come motivo di impugnazione del matrimonio, con la conseguente necessità di una pronuncia di nullità o di annullamento.

[9] La Suprema Corte, con la citata sentenza, richiama anche quell'autorevole indirizzo dottrinario secondo cui occorre distinguere la regolamentazione del rapporto giuridico controverso dalla rilevazione dei suoi presupposti, la regolamentazione della questione principale da quella pregiudiziale o preliminare, con la conseguenza che la disciplina di tali presupposti o questioni, posta dall'ordinamento straniero, al pari del diritto o "status" che si presenta come acquisito rispetto alla situazione da accertare, costituiscono essenzialmente elementi interpretativi (ove a ciò occorra procedere) delle norme straniere richiamate dalle disposizioni di diritto internazionale privato per la soluzione del caso concreto e che, in quanto tali, non sono direttamente immessi nell'ordinamento interno (la fattispecie verteva sui diritti successori del coniuge).

[10] P. Grassano, Del rapporto del matrimonio islamico con l'ordinamento italiano, disponibile su www.sepel.it all'indirizzo www.sepel.it/articoligrassano.htm.

[11] Cfr. R. Calvigioni, op. cit.

[12] Cass. 1739/1999 cit.; Cass. civ., sez. I, 13/04/2001, n. 5537, in Riv. dir. internaz. priv. e proc., 2002, 149.

[13] Sul punto, v. anche P. Grassano, Del matrimonio celebrato da cittadino italiano all'estero cit.

[14] Cass. civ., sez. I, 19/10/1998, n. 10351, in Riv. dir. internaz. priv. e proc., 1999, 595.

[15] Legge n. 950 del 19/11/1984, Ratifica ed esecuzione della convenzione relativa al rilascio di un certificato matrimoniale e della convenzione sulla legge applicabile ai cognomi e ai nomi, adottate a monaco il 5 settembre 1980, GU 18 del 22 gennaio 1985.

[16] R. Calvigioni, op. cit.

[17] Si vedano, rispettivamente, gli artt. 16 e 17; 12, comma 11, DPR 396/2000.

[18] Alle condizioni poste dalla legge di esecuzione del Concordato. Ballarino, op. cit.; P. Grassano, Del matrimonio celebrato da cittadino italiano all'estero cit.

[19] Cass. civ., sez. I, 28/04/1990 n. 3599, in Riv. dir. internaz. priv. e proc., 1991, 750.

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Diritto (Copyright immagine woodsy) L'inquilino ha l'obbligo di consentire la visita del locatore e dei potenziali acquirenti dell'immobile locato?

Occorre innanzitutto esaminare il testo del contratto di locazione, il quale sarebbe bene contenesse sempre una clausola atta a regolamentare espressamente tali ipotesi.

In ogni caso, anche in mancanza di una clausola contrattuale, la giurisprudenza riconosce, con riferimento in particolare all'art. 1587 cod. civ., che il locatore, nonostante il silenzio del contratto,

- ha diritto a far visitare la cosa locata, con le modalità dettate dagli usi localmente vigenti, al fine di poter vendere il bene

- e che gli ingiustificati rifiuti opposti dall'inquilino a dette visite sono idonei a configurare un inadempimento, il quale può costituire causa di risoluzione del contratto e fondare una richiesta di risarcimento dei danni.

(Si veda Cassazione civ., sez. III, 17/09/1981 n. 5147).



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Diritto delle nuove tecnologie (Copyright immagine ba1969) Nel Supplemento straordinario alla Gazzetta Ufficiale 4^ Serie Speciale “Concorsi ed Esami” del 5 agosto 2008 sono stati pubblicati i "Quesiti a risposta multipla relativi alla prova preselettiva del concorso pubblico, per esami, a 80 posti per l’accesso al profilo professionale di collaboratore amministrativo".

Il concorso cui si riferiscono i quesiti è il seguente:

Concorso pubblico, per esami, a 80 posti per l’accesso al profilo professionale di collaboratore amministrativo, area funzionale terza, posizione economica F1 (ex C1), del ruolo del personale dell’Amministrazione civile dell’Interno. Indetto con d.m. del 26/5/2008, pubblicato nella G.U. 4° Serie Speciale Concorsi ed Esami n. 42, del 30/5/2008 per le esigenze degli uffici periferici del Ministero dell’Interno, da ripartire nell’ambito delle seguenti regioni: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria, Valle D’Aosta, Veneto e Trentino Alto Adige limitatamente agli uffici ubicati nell’ambito della provincia di Trento.

 

Un accorto lettore mi segnala in proposito che tra i quesiti di diritto pubblico resi noti dal Ministero vi è il seguente (http://concorsiciv.interno.it):

200. Con il ricorso giurisdizionale al Garante per la protezione dei dati personali può essere chiesto:

A) L'adozione delle misure necessarie, il risarcimento del danno, ove richiesto, oltre che l'emanazione di provvedimenti provvisori quando sussiste pericolo imminente di un danno grave ed irreparabile.

B) Solo il risarcimento del danno eventualmente subito.

C) L'emanazione di provvedimenti provvisori che blocchino in tutto o in parte il trattamento, ma non il risarcimento del danno eventualmente subito.

D) L'adozione delle misure necessarie, esclusi i provvedimenti provvisori.

 

Stando al Ministero, per tutti i quesiti pubblicati la risposta esatta è, o dovrebbe essere, sempre quella contrassegnata con la lettera "A".

Ora, a mente del Codice della privacy, il Garante per la protezione dei dati personali non mi risulta possa provvedere sul risarcimento del danno. L'interessato che intende chiedere il risarcimento del danno deve infatti rivolgersi al giudice... dunque la risposta A non mi pare possa essere quella esatta...

Ma ancor più a monte: il ricorso al Garante privacy viene definito "giurisdizionale"...

 

Mi sfugge forse qualcosa?!

 

Il Ministero avverte in ogni caso che

Si comunica che la Commissione esaminatrice provvederà ad individuare i quesiti, da sottoporre ai candidati, che non presentino errori o anomalie di qualsiasi tipo.

 

Avv. Giuseppe Briganti

 



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Avvocato non solo “guerriero”: altri approcci possibili per un avvocato “multidimensionale”


Avvocato Giuseppe Briganti, avvbriganti.iusreporter.it
agosto 2008


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Gli avvocati sono generalmente considerati, e generalmente considerano loro stessi, unidimensionalmente, come combattenti (fighter): paladini che si battono vigorosamente e con zelo per vendicare i diritti violati dei propri clienti.


Secondo T.D. Barton e J.M. Cooper della California Western School of Law, esistono però almeno altre due dimensioni possibili per il professionista della legge: quella del problem solver e quella del designer1.


Il “guerriero” usa e reagisce al potere. Nel loro ruolo di combattenti, gli avvocati operano pertanto su un piano verticale, e in modalità “riavvolgimento” (rewind).


Spesso non guardano lateralmente, in direzione di coloro che sperimentano in prima persona i problemi legali, o in direzione dell’ambiente sociale, finanziario e organizzativo nel quale queste persone vivono. Nell'affrontare i problemi, i combattenti neppure guardano spesso in avanti, per immaginare le conseguenze dell’adozione di procedure avversariali piuttosto che di interventi che potrebbero prevenire il ripresentarsi di tali problemi.


Essi invece, come si diceva, tendono a guardare in alto, verso principi e norme giuridiche fissati da autorità superiori. E verso il basso, scavando a fondo per scoprire fatti ed elementi sussumibili in quei precetti. Infine, si volgono indietro, poiché le questioni legali sono spesso definite come una serie di accadimenti storici tra loro concatenati che ha condotto alla violazione di una qualche regola.


La mentalità del combattente viene naturalmente rafforzata dalla struttura stessa delle procedure giudiziali per la risoluzione dei conflitti, le quali tendono a ridurre i problemi umani a modelli giuridici. In tale contesto, il combattente elabora il caso, come già accennato, “riavvolgendo il nastro”, cioè ricostruendo minuziosamente i fatti che danno luogo a responsabilità, in modo da ottenere un risultato basato su di essi.


La prospettiva “verticale” della professione è del resto essenziale per il diritto. Ciononostante, le sue caratteristiche di avversarialità, reattività, il fatto di essere fondata sul potere, fanno sì che le parti, anziché lavorare insieme per risolvere i loro problemi, si concentrino piuttosto nel tentativo di ottenere una decisione favorevole dal giudice, con la creazione di un “vincitore” e di uno “sconfitto”.


Per essere efficace il guerriero è costretto dunque, spesso, a trascurare gli interessi profondi, le emozioni e le relazioni dei soggetti coinvolti, per guardare in direzione delle norme giuridiche.


Se alcune questioni si prestano a essere risolte nell’ambito di questa dimensione della professione, rendendola necessaria, affermano gli Autori citati, altre possono piuttosto essere prevenute da avvocati che operano in una diversa modalità, la modalità “avanti veloce” (fast forward), anziché rewind, progettando ambienti e facilitando relazioni meno conflittuali e meno produttivi di problemi.


Operare nella modalità “fast forward” significa che l’avvocato anticipa, nei limiti del possibile, il problema. Alcune linee guida per affrontare i problemi preventivamente, suggerite da Barton e Cooper, possono essere le seguenti:


  • tentare di strutturare per i clienti i luoghi di lavoro, gli ambienti finanziari, familiari e personali in modo da prevenire l’insorgere di problemi

  • se i problemi insorgono, promuovere una riflessione autonoma da parte del diretto interessato sul significato e le implicazioni della questione

  • promuovere la comunicazione e la cooperazione tra le parti e tra i rispettivi avvocati.


Altre questioni possono d’altro canto trasformarsi, senza possibilità di prevenzione efficace, in conflitti manifesti. Anziché ricorrere a procedure avversariali, sottolineano Barton e Cooper, tali questioni possono spesso essere meglio risolte utilizzando procedure di tipo più orizzontale che verticale, nell’ambito di una cultura della supportive accountability piuttosto che della attribuzione di “colpa”.


I problemi sono barriere o collegamenti disfunzionali nei rapporti tra i soggetti e il loro ambiente. L’avvocato come designer risponde a questi problemi suggerendo interventi che cambiano le relazioni umane o l’ambiente in cui le persone vivono.


Gli avvocati che operano preventivamente e creativamente sono perciò designer e problem solver. Essi acquisiscono queste capacità rafforzando


  • l’onesta comunicazione coi clienti

  • la comprensione profonda dei differenti interessi e dei punti deboli o di tensione dai quali emergono i problemi

  • la volontà di essere proattivi nel ristrutturare le relazioni delle parti e gli ambienti in cui esse operano.


Gli avvocati possono dunque essere più che semplici combattenti. Possono operare orizzontalmente, cercando di rendere la risoluzione dei problemi più partecipativa per i diretti interessati, con meno preoccupazione per le regole formali e il linguaggio specialistico e più attenzione al consenso e alla negoziazione tra le parti, parti che parlano direttamente tra loro e con autorità che utilizzano le loro stesse parole e i loro stessi concetti.


Gli avvocati devono quindi essere preparati a offrire ai loro clienti meccanismi creativi per la risoluzione dei conflitti. Un modo per cominciare a intraprendere un simile processo è appunto quello di immaginare approcci più orizzontali alla risoluzione dei problemi legali, come per esempio, nell'ambito statunitense, peacemaking session e problem solving courts2.


Nell’ambito della risoluzione dei conflitti è oggi, del resto, sempre più avvertita, affermano Barton e Cooper, l’esigenza di travalicare i limiti delle strutture e delle funzioni tradizionali.


In primo luogo, ciò avviene a causa dell'inefficienza del sistema giudiziario. In secondo luogo, a causa del fatto che le procedure di tipo verticale limitano la partecipazione dei diretti interessati nella valutazione, presentazione e risoluzione dei loro stessi problemi.


Inoltre, soluzioni basate sull’attribuzione di “colpa” vengono sempre più viste come meno produttive e maggiormente dannose psicologicamente rispetto a soluzioni nelle quali mentalità, relazioni e spazi fisici vengono ristrutturati in maniera tale da prevenire il ripresentarsi del problema. Infine, nuove concezioni di “verità” stanno emergendo, le quali richiedono apertura alle differenti posizioni delle parti, piuttosto che la tendenza all’omogeneizzazione delle loro prospettive senza attenzione alcuna per il contesto sociale.


Procedure maggiormente collaborative vanno perciò affermandosi, quali mediazione, conciliazione, arbitrato. Nuove procedure di problem solving di carattere maggiormente partecipativo, più orizzontale, attendono ancora, d'altronde, di essere sviluppate e implementate.


Con il proliferare di siffatti metodi di risoluzione dei conflitti, agli avvocati sono sempre più richieste nuove abilità per poter soddisfare efficacemente le richieste dei clienti:


  • migliori doti comunicative

  • una comprensione globale dei contesti sociali, relazionali, finanziari ed emozionali dei problemi e delle connessioni tra le persone che influenzano quei contesti

  • una miglior percezione dei cambiamenti ambientali e personali idonei a prevenire il ripresentarsi di un problema

  • l’abilità di implementare i cambiamenti necessari.


Per l'affermarsi dell'avvocato multidimensionale occorrono sia riforme nelle procedure giudiziarie sia lo sviluppo di tali nuove abilità da parte dei professionisti.


Gli avvocati devono pertanto agire diversamente; e per far ciò, essi devono innanzitutto pensare diversamente. E questo, nell'opinione degli Autori citati, deve essere il punto di partenza: una nuova mentalità per gli avvocati e il pubblico circa le possibilità che offre il diritto per la salvaguardia delle relazioni tra individui e la risoluzione dei problemi.


Per trasformare in realtà la nuova mentalità, agli avvocati è richiesto poi di sviluppare, come accennato, nuove capacità di ascolto, di identificazione degli interessi, di inquadramento e investigazione dei problemi, e di elaborazione di sistemi di soluzioni che possano offrire vantaggi reciproci. Nel momento in cui gli avvocati utilizzeranno tali abilità, nuove strutture evolveranno spontaneamente attorno a esse.


Il diritto come progetto e risoluzione creativa dei problemi cerca anche di promuovere concretamente i valori dell’inclusività e della decentralizzazione nell'adozione di decisioni, nonché il rispetto per le differenze umane e per le relazioni non coercitive.


Nell’ottica della multidimensionalità, l’avvocato deve aspirare ad essere un vero e proprio consigliere piuttosto che un mero esperto del diritto, e a lavorare in sinergia con altri professionisti. Inoltre, l’avvocato multidimensionale dovrebbe essere in grado di comprendere i peculiari contesti nei quali i clienti possono trovarsi, contesti in cui il senso comune e l’istinto potrebbero fallire.


L’avvocato designer e problem solver si sforza dunque, fondamentalmente, di promuovere salutari relazioni e l’appagamento delle persone coinvolte nella questione legale.


Ciò va d'altro canto a scontrarsi con la logica attualmente dominante nel sistema giudiziario, basata sull’attribuzione di responsabilità e sulla eliminazione della violazione alla norma giuridica, la quale finisce con il determinare, inevitabilmente, anche il rapporto avvocato-cliente. Se infatti trovare qualcuno da incolpare e qualcuno da rifondere a seguito della violazione di una norma sono gli obiettivi principali dei procedimenti giudiziari, gli avvocati non sono certamente incentivati a sviluppare i tipi di abilità creative e la profondità di comunicazione che il professionista multidimensionale invece richiede.


Stando alla logica dominante, dunque, affermano Barton e Cooper, gli avvocati avrebbero davvero pochi motivi per spingersi oltre, per investigare a fondo il contesto dal quale ha tratto origine il problema del cliente o per immaginare una riconfigurazione dell’ambiente al fine di prevenire la ricorrenza del problema.


I professionisti del diritto posseggono d'altra parte un grande potenziale per incentivare atteggiamenti riflessivi nei loro clienti. Nelle loro conversazioni coi clienti, gli avvocati dovrebbero cercare di fornire a questi ultimi la possibilità di giocare un ruolo nella risoluzione dei loro stessi problemi. Inoltre, dovrebbero facilitare la comprensione degli aspetti legali della questione da parte dell’interessato, attraverso informazioni accessibili.


Dovrebbero altresì sforzarsi di responsabilizzare il cliente: attraverso una più ampia comunicazione con i soggetti coinvolti, affermano gli Autori citati, il diritto potrebbe infatti cominciare a reclamare il ruolo di guida morale per la nostra civiltà.


Per fornire al cliente soluzioni migliori e durature, il professionista della legge dovrebbe, in definitiva, lavorare per costruire e sostenere relazioni in grado di sopravvivere alle singole questioni legali contingenti.


Le relazioni interpersonali, come quella tra marito e moglie, o tra datore di lavoro e lavoratore, potrebbero essere infatti destinate a perdurare anche dopo le difficoltà contingenti, e quindi una “soluzione” la quale comporti oggi una compromissione irreparabile del rapporto potrebbe condurre in futuro ad altri problemi legali, rivelandosi pertanto una non-soluzione.


In conclusione, scopo dell’approccio in esame è dunque quello di educare studenti e professionisti a metodi per prevenire i problemi, quando possibile, e per risolvere creativamente tali problemi quando essi siano già sorti.


Per far ciò, ci si focalizza sia sull’uso più creativo del tradizionale ragionamento analitico sia sull’uso di metodi di risoluzione dei problemi non convenzionali per il diritto, ripresi, esemplificativamente, dal mondo degli affari, dalla psicologia, dall’economia, dalle neuroscienze e dalla sociologia3.

 

 

 

1 T.D. Barton e J.M. Cooper, Preventive Law and Creative Problem solving: Multi-dimensional Lawyering, in www.preventivelawyer.org, sito del National Center for Preventive Law, all’indirizzo www.preventivelawyer.org/content/pdfs/Multi_Dimensional_Lawyer.pdf.
Sul preventive law e il creative problem solving, entrambi vettori del Comprehensive Law Movement, sia consentito rinviare a G. Briganti, Un nuovo approccio al diritto e alla professione legale: il "Comprehensive Law Movement", in www.iusreporter.it, all’indirizzo www.iusreporter.it/Testi/comprehensivelaw.pdf.

2 Sui quali v. T.D. Barton e J.M. Cooper, op. cit., pp. 14 ss.

3 V. G. Briganti, op. cit., e S. Daicoff, Law as a Healing Profession: The Comprehensive Law Movement, in Pepperdine Dispute Resolution Law Journal, Fall 2005, disponibile anche nel sito dell’UCLA School of Law, www.law.ucla.edu, all’indirizzo www.law.ucla.edu/docs/daicoff__susan_-_comprehensive_law_movement.pdf.

 

 

 


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