L'Avv.
Giuseppe Briganti è Avvocato in Urbino dal 2001 e mediatore
professionista e formatore nei corsi per mediatori dal 2011. Dal 2001
cura il sito www.iusreporter.it dedicato alla ricerca giuridica sul
Web e al diritto delle nuove tecnologie. Svolge attività di
docenza, è autore di pubblicazioni giuridiche e collabora con
riviste giuridiche
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Iusreporter.it e guidamediazionecivile.it, curati dall'Avv. Giuseppe Briganti, comunicano che è iniziata da oggi su Twitter la pubblicazione della tweet-guida
"La mediazione civile in 140 caratteri"
Mini-guida al decreto legislativo n. 28 del 2010
Edizione 2013
La mini-guida viene pubblicata su Twitter da @iusreporter. Hashtag ufficiale è #guidamediazione.
Sarà naturalmente possibile interagire in ogni momento con l'Avv. Giuseppe Briganti, autore della guida, tramite Twitter.
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A cura dell'Avv. Giuseppe Briganti
La Guida sulla mediazione civile e commerciale di Iusreporter.it
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Testi senza carattere di ufficialità
Il Garante per la protezione dei dati personali ha espresso un sì condizionato allo schema di decreto legislativo del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione relativo agli obblighi di trasparenza della Pa. Come si legge nel comunicato del Garante dell'8 febbraio 2013, nel dare il suo parere favorevole [doc. web n. 2243168], l'Autorità ha infatti posto una serie di "paletti" chiedendo che alcune norme vengano modificate, introducendo maggiori garanzie a tutela delle persone.
Dal comunicato del Garante privacy:
« La necessità di realizzare un controllo diffuso sull'attività della Pubblica amministrazione non deve condurre a forme sproporzionate di diffusione di informazioni che possono finire per ledere i diritti dei cittadini, specialmente di quelli in condizioni più disagiate.
L'Authority condivide le ragioni sottese al provvedimento e l'obiettivo di garantire la trasparenza nell'attività della Pa, ma ritiene che un tale valore debba essere comunque bilanciato con un diritto di pari rango costituzionale come quello della riservatezza e della protezione dei dati che trova la sua matrice nella normativa europea.
Per questi motivi valuta con preoccupazione i possibili rischi che alcune disposizioni contenute nel provvedimento potrebbero determinare. Rischi ancora più forti se si tiene conto della particolare delicatezza di alcune informazioni che verrebbero messe on line e della loro facile reperibilità e riutilizzabilità incontrollata grazie ai motori di ricerca. Si pensi soltanto ai dati sensibili o in grado di rivelare condizioni di disagio economico e sociale di anziani, disabili o altri soggetti deboli che beneficiano di sussidi (es. social card), la cui diffusione potrebbe comportare irreversibili danni per la dignità degli interessati, anche considerate le difficoltà oggettive di cancellare tali informazioni una volta in rete.
Sono già numerosi, in questo senso, i casi sottoposti in questi ultimi anni all'Autorità.
Nell'esprimere il suo parere, l'Autorità ha anche tenuto conto di quanto previsto dalla normativa europea, di quanto stabilito dalla stessa Corte di Giustizia e del fatto che nella stragrande maggioranza dei Paesi europei non esistono forme di diffusione paragonabili a quelle che si intendono realizzare nel nostro.
Queste le richieste avanzate dal Garante.
Dati personali
Sui siti web della Pa non dovranno mai essere diffusi dati sulla salute e sulla vita sessuale.
Vanno esclusi dalla pubblicazione i dati identificativi dei destinatari dei provvedimenti dai quali si possano ricavare dati sullo stato di salute o di uno stato economico-sociale degli interessati: si pensi al riconoscimento di agevolazioni economiche, alla fruizione di prestazioni sociali collegate al reddito, come l'esenzione dal contributo per le refezione scolastica o dal ticket sanitario, i benefici per portatori di handicap, il riconoscimento di sussidi ad anziani non autosufficienti, i contributi erogati per la cura di particolari malattie o per le vittime di violenza sessuale.
Così come non appare giustificata la diffusione di dati non pertinenti rispetto alle finalità perseguite, quali ad esempio l'indirizzo di casa, il codice fiscale, le coordinate bancarie, la ripartizione degli assegnatari secondo le fasce ISEE, informazioni sulle condizioni di indigenza.
Più in generale, le pubbliche amministrazioni nel pubblicare atti o documenti dovranno rendere inintelligibili i dati personali non pertinenti o, se sensibili e giudiziari, non indispensabili rispetto alle finalità di trasparenza che si intendono perseguire nel caso concreto. Potranno inoltre pubblicare sui propri siti web informazioni e documenti per i quali non vi è l'obbligo di pubblicazione, ma solo una volta che avranno reso anonimi i dati personali in essi contenuti.
Motori di ricerca
I documenti pubblicati dovranno essere rintracciabili solo mediante i motori di ricerca interna al sito del soggetto pubblico e non attraverso i comuni motori di ricerca generalisti, garantendo così la conoscibilità dei dati senza che essi vengano estrapolati dal contesto nei quali sono inseriti.
Durata della pubblicazione
Dovranno essere stabiliti periodi differenziati di permanenza on line dei documenti, e si dovrà prevedere una accessibilità selettiva una volta scaduto il termine di pubblicazione.
Dipendenti pubblici
Per quanto riguarda i dipendenti pubblici, lo schema di decreto legislativo dovrà essere modificato circoscrivendo la pubblicazione dei dati ad un ambito più ristretto di informazioni personali, strettamente pertinenti, sia riguardo ai curricula sia ai compensi corrisposti, individuando anche modalità di diffusione meno invasive di quelle previste.
Incarichi politici e cariche elettive
Per quanto riguarda gli obblighi di trasparenza relativi ai titolari di incarichi politici o di carattere elettivo il Garante ha richiamato l'attenzione del Governo sull'opportunità di una riflessione generale sull'impianto della disciplina, richiedendo una graduazione degli obblighi di pubblicazione sia sotto il profilo della platea dei soggetti coinvolti che del contenuto degli atti da pubblicare.
In particolare, occorre circoscrivere il contenuto delle dichiarazioni dei redditi da pubblicare alle sole notizie risultanti dal quadro riepilogativo della dichiarazioni stesse, allo scopo di evitare la diffusione di dati anche sensibili (come la scelta del contribuente sulla destinazione del "5 per mille"). Lo stesso vale per soggetti estranei all'incarico pubblico, come coniugi, figli, parenti, ai quali è comunque necessario chiedere il consenso alla pubblicazione dei dati. Tale consenso dovrà essere libero e non condizionato e non dovranno comunque essere resi noti i nomi degli interessati che non intendessero fornirlo ».
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Per non incorrere nel reato di pubblicazioni oscene (art. 528 cod. pen.), l'avviso del divieto ai minori di accedere a un sito web di carattere pornografico deve necessariamente precedere l'ingresso al sito, e non può essere riportato in fondo all'home page già contenente materiale osceno (sentenza Cassazione penale 2348/2013).
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Lo rende noto il Garante per la protezione dei dati personali con un comunicato del 6/02/2013:
« Skype migliorerà le procedure per consentire agli utenti di chiudere il proprio account e integrerà le informazioni per venire incontro alle loro esigenze.
E' questo l'esito della nota spedita a fine 2012 dal Garante privacy con la quale l'Autorità aveva chiesto alla società con sede in Lussemburgo spiegazioni sulle difficoltà incontrate dagli utenti italiani nel chiudere il proprio account.
Pur non essendo stabilita sul nostro territorio, Skype ha tuttavia deciso di dare riscontro all'Autorità italiana fornendo nel contempo alcune informazioni utili per capire le procedure adottate per dar seguito alle richieste degli utenti.
Skype ha ammesso che le indicazioni contenute nelle "domande più frequenti" (Faq), secondo cui "una volta creato, non è possibile eliminare un account Skype", non informano in maniera adeguata gli utenti. Esse d'ora in poi verranno dunque modificate per spiegare chiaramente che si potrà comunque bloccare in via permanente il proprio account rivolgendosi al servizio di supporto tecnico clienti, il quale provvederà a deindicizzare lo username dell'utente dalle pagine pubbliche del servizio, in modo tale che non sia più operativo né visibile dagli altri. Skype sta peraltro valutando potenziali migliorie per consentire un'autonoma chiusura dell'account da parte dell'utente.
La società ha tuttavia spiegato che l'account non viene definitivamente cancellato o distrutto e che il relativo username resta archiviato all'interno dei suoi sistemi: lo scopo dichiarato è quello di evitare che in futuro altri utenti possano utilizzare, intenzionalmente o meno, il medesimo nome.
Permane dunque la necessità di alcuni chiarimenti in ordine alla tipologia dei dati conservati, dopo la chiusura dell'account, e ai tempi e alle modalità di tale conservazione, della quale peraltro l'utente potrebbe non essere del tutto consapevole.
Per tali motivi, il Garante ha deciso di avviare ulteriori approfondimenti e di sollevare la questione nell'ambito del Gruppo di lavoro che riunisce le Autorità della protezione dati europee ».
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Così si legge nel provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali del 20/12/2012 in un caso in cui la società titolare del trattamento dei dati condizionava la registrazione al sito da parte degli utenti, e conseguentemente anche la fruizione dei servizi, al rilascio del consenso al trattamento dei dati per finalità promozionali:
« Al caso sottoposto all'attenzione dell'Autorità si applica la disciplina dell'art. 23, comma 3 del Codice, secondo cui il trattamento di dati personali da parte dei privati è ammesso solo previa acquisizione di un consenso dell'interessato libero, informato e specifico, con riferimento a trattamenti chiaramente individuati e documentato per iscritto, nonché l'analogo disposto dell'art. 130, commi 1 e 2 del Codice, in base al quale l'utilizzo di comunicazioni con modalità automatizzate, come posta elettronica, telefax, Mms o Sms, per la finalità di invio di materiale pubblicitario o di comunicazione commerciale è consentito solo con il consenso del contraente o utente.
Si ricorda, tuttavia, l'eccezione del c.d. "soft spam", di cui all'art. 130, comma 4, in base al quale, se il titolare del trattamento utilizza, a fini di vendita diretta di propri prodotti o servizi, le coordinate di posta elettronica fornite dall'interessato nel contesto della vendita di un prodotto o di un servizio, può non richiedere il consenso dell'interessato, sempre che si tratti di servizi analoghi a quelli oggetto della vendita e l'interessato, adeguatamente informato, non rifiuti tale uso.
Inoltre, come già rilevato da questa Autorità (provv. 22 febbraio 2007, doc. web n. 1388590; provv. 12 ottobre 2005, doc. web n. 1179604; provv. 3 novembre 2005, doc. web n. 1195215; provv. 10 maggio 2006, doc. web n. 1298709 in www.garanteprivacy.it; provv. 15 luglio 2010, doc. web n.1741998; più recentemente, provv. 11 ottobre 2012, doc. web n. 2089777) non può definirsi "libero", e risulta indebitamente necessitato, il consenso a ulteriori trattamenti di dati personali che l'interessato "debba" prestare quale condizione per conseguire una prestazione richiesta. Peraltro, gli interessati devono essere messi in grado di esprimere consapevolmente e liberamente le proprie scelte in ordine al trattamento dei dati che li riguardano, manifestando il proprio consenso -allorché richiesto per legge- per ciascuna distinta finalità perseguita dal titolare (cfr. provv. 24 febbraio 2005, punto 7, in www.garanteprivacy.it, doc. web n. 1103045).
L'attività di trattamento dei dati, finalizzata all'invio di comunicazioni commerciali e materiale pubblicitario/informativo di beni e servizi, nella fattispecie mediante posta elettronica, effettuata dalla società senza il relativo consenso specifico costituisce quindi un trattamento illecito e non può essere proseguita ai sensi dell'art. 11, comma 2, del Codice, secondo cui i dati personali trattati in violazione del Codice non possono essere utilizzati ».
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Come riportato dalla newsletter del Garante per la protezione dei dati personali del 23/01/2013, non si possono mettere on line informazioni sullo stato di salute, patologie o handicap di una persona.
Il Garante privacy è intervenuto su due gravi casi di violazione della riservatezza vietando a due amministrazioni pubbliche l'ulteriore diffusione su Internet, in qualsiasi area del loro sito istituzionale, dei dati sulla salute rispettivamente di cittadini disabili e di persone che hanno beneficiato di rimborsi per spese sanitarie.
Alle due amministrazioni, inoltre, è stato prescritto di conformare la pubblicazione on line di atti e documenti alle disposizioni contenute nel Codice privacy e nelle Linee guida del 2 marzo 2011 [doc. web n. 1793203], rispettando, in particolare, il divieto di diffusione di dati sulla salute.
Nel disporre i divieti il Garante ha dichiarato illecito il trattamento di dati effettuato perché in contrasto con la norma che vieta ai soggetti pubblici di diffondere i dati da cui si possano desumere malattie, patologie e qualsiasi riferimento a invalidità, disabilità o handicap fisici o psichici. Dagli accertamenti effettuati dal Garante a seguito di segnalazioni telefoniche è risultato infatti che sul sito di uno dei due enti era liberamente consultabile un allegato al Piano comunale di protezione civile contenente l'elenco delle persone non autosufficienti che abitano da sole o con altri inabili. Nell'allegato erano riportati in chiaro il nome e cognome, la sigla della disabilità oppure la sua indicazione per esteso (es. non vedente) e in alcuni casi anche la data di nascita e/o l'indirizzo della persona non autosufficiente. Mentre sul sito dell'altro ente, nella sezione dedicata all'albo pretorio, erano presenti le determinazioni con le liquidazioni degli indennizzi per patologie contratte per cause di servizio, rimborsi per spese sanitarie (anche a favore di trapiantati o di persone affette da determinate patologie), che riportavano in chiaro il nominativo e/o il codice fiscale degli interessati o dei familiari che avevano beneficiato dei rimborsi.
Con un separato procedimento, si legge ancora nella newsletter, l'Autorità sta valutando gli estremi per contestare ai due enti una eventuale sanzione amministrativa.
Fonte: www.garanteprivacy.it
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Così GIP Livorno, sentenza n. 38912, ud. 02/10/2012, dep. 31/12/2012:
« Con richiesta di rinvio a giudizio depositata dal P.m. il 5.1.2012 [...] veniva tratta a giudizio con l'accusa di avere commesso il reato di cui all'art. 595 comma 3 c.p. pubblicando su Facebook i messaggi offensivi descritti nel capo d'imputazione in epigrafe trascritti, a proposito del centro estetico gestito a L. dal querelante [...].
Quest'ultimo, ritenendosi leso nella sua reputazione, in data 10.5.2011 proponeva atto di querela contro la [...] affinché venisse perseguita penalmente per il reato di cui all'art. 595 e all'udienza preliminare si costituiva parte civile.
Il difensore dell'imputata nel corso dell'udienza preliminare otteneva che il procedimento venisse trattato con le forme del rito abbreviato e all'odierna udienza, udita la discussione e le conclusioni delle parti, veniva pronunciata sentenza mediante lettura del dispositivo.
Nell'atto di querela la persona offesa rappresentava in particolare che l'odierna prevenuta aveva prestato attività lavorativa alle sue dipendenze presso il centro estetico ma il rapporto aveva avuto breve durata essendo stata la dipendente licenziata per le inadempienze nello svolgimento delle mansioni lavorative.
Lamentava il querelante che il successivo 9 maggio 2011 la ex dipendente aveva pubblicato un messaggio sulla "bacheca" del proprio profilo Facebook dal contenuto volgare e tenore chiaramente denigratorio a proposito dell'aspetto della professionalità del centro estetico [...] e [...] sconsigliando a chiunque di frequentarlo (cfr. doc. n. 5 allegato alla querela).
La [...], inoltre, nel conversare con altri "amici" sempre su facebook si esprimeva con epiteti offensivi con riferimento al gestore del centro estetico [...].
Valuta questo G.U.P. che le risultanze istruttorie siano idonee a fondare l'ipotesi accusatoria.
Non v'è dubbio che le espressioni sopra riportate provengano da [...].
Le argomentazioni difensive svolte in sede di discussione finale si sono incentrate essenzialmente sulla pretesa impossibilità di attribuire con certezza la paternità di uno scritto o un messaggio al titolare "apparente" del "profilo" dalla cui fonte quello scritto proviene potendo sotto quella apparente identità celarsi un soggetto autore diverso dal titolare del profilo che avrebbe operato sostanzialmente un "furto d'identità", scrivendo sotto falso nome utilizzando indebitamente l'altrui profilo.
La tesi difensiva non ha pregio.
[...] Non vi sono perciò dubbi sulla riferibilità soggettiva degli scritti incriminati all'odierna imputata e che i pregressi rapporti professionali tra le parti abbiano costituito il movente per l'uso improprio del mezzo informatico di comunicazione in danno del decoro e della reputazione del proprio ex datore di lavoro contro cui erano diretti i pubblici "sfoghi" manifestati dalla [...] nel trattare l'argomento con altri soggetti partecipanti e facenti parte del medesimo gruppo di amici.
Ai fini della valutazione relativa alla configurabilità del reato di diffamazione in contestazione giova premettere brevi notazioni sul funzionamento del sito web denominato "Facebook" che oggi è considerato il più diffuso e popolare dei social network ad accesso gratuito, vale a dire una cosiddetta rete sociale in cui può essere coinvolto un numero indeterminato di utenti o di navigatori Internet che tramite questo sito web entrano in relazione tra loro pubblicando e/o scambiandosi contenuti che sono visibili altri utenti facenti parte dello stesso gruppo o comunque a questo collegati. All'interno di esso gli utenti possono creare propri "profili personali" su cui pubblicare fotografie, video, informazioni personali e liste di interessi e aderire ad un gruppo di cosiddetti "amici". Per ciò che qui maggiormente rileva, Facebook consente agli utenti di fruire di alcuni servizi tra i quali l'invio e la ricezione di messaggi, rilascio di commenti, fino alla possibilità di scrivere sulla bacheca di altri amici, decidendo di impostare diversi livelli di condivisione di tali informazioni. È evidente che gli utenti del social network sono consapevoli, e anzi in genere tale effetto non è solo accettato ma è indubbiamente voluto, del fatto che altre persone possano prendere visione delle informazioni scambiate in rete. Infatti, è nota agli utenti di "Facebook" l'eventualità che altri possano in qualche modo individuare e riconoscere le tracce e le informazioni lasciate in un determinato momento sul sito, anche a prescindere dal loro consenso: trattasi dell'attività di cd. "tagging" che consente, ad esempio, di copiare messaggi e foto pubblicati in bacheca e nel profilo altrui oppure email e conversazioni in "chat", che di fatto sottrae questo materiale dalla disponibilità dell'autore e sopravvive alla stessa sua eventuale cancellazione dal social network. L'uso di espressioni di valenza denigratoria e lesiva della reputazione del profilo professionale della parte civile integra sicuramente gli estremi della diffamazione alla luce del detto carattere pubblico del contesto in cui quelle espressioni sono manifestate, della sua conoscenza da parte di più persone e della possibile sua incontrollata diffusione tra i partecipanti alla rete del social network.
Lo specifico episodio in trattazione va più esattamente qualificato come delitto di diffamazione aggravato dall'avere arrecato l'offesa con un mezzo di pubblicità (fattispecie considerata al comma terzo dell'art. 595 c.p. e equiparata, sotto il profilo sanzionatorio, alla diffamazione commessa con il mezzo della stampa).
Della diffamazione sussistono tutti gli estremi essenziali:
- la precisa individuabilità del destinatario delle manifestazioni ingiuriose [...]
- la comunicazione con più persone alla luce del cennato carattere "pubblico" dello spazio virtuale in cui si diffonde la manifestazione del pensiero del partecipante che entra in relazione con un numero potenzialmente indeterminato di partecipanti e quindi la conoscenza da parte di più persone e la possibile sua incontrollata diffusione.
- La coscienza e volontà di usare espressioni oggettivamente idonee a recare offesa al decoro, onore e reputazione del soggetto passivo.
Si giunge agevolmente a ritenere che l'utilizzo di Internet integri l'ipotesi aggravata di cui all'art. 595, co. 3, c.p. (offesa recata con qualsiasi altro mezzo di pubblicità), poiché la particolare diffusività del mezzo usato per propagare il messaggio denigratorio rende l'agente meritevole di un più severo trattamento penale.
Affermata conclusivamente la penale responsabilità dell'imputata in riferimento al reato a lei contestato, in ragione della sua incensuratezza e del concreto contesto da cui ha preso spunto il fatto nonché valutato il concreto grado del dolo ,possono riconoscersi alla [...] le attenuanti generiche e quantificare la pena in quella di euro 1.000,00 di multa (per effetto della riduzione di un terzo per effetto della scelta del rito).
All'accertamento del reato consegue ex lege la condanna dell'imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile nei termini di cui al dispositivo che segue ».
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Così Cassazione penale, sez. III, sentenza 25/10/2012, n. 1164:
« Come si apprende dallo stesso provvedimento impugnato - e risulta incontestato dal ricorrente - ciò che di asseritamente criminoso è stato accertato dalla p.g. consisteva nel fatto che ciascuno dei coniugi, dopo avere attivato un "nickname" su c.d. chat lines della Telecom, inviava messaggi con i quali si faceva intendere la esistenza di una donna interessata a contattare uomini per scambi di foto e filmati a contenuto erotico. Una volta entrati in contatto con gli interessati, i ricorrenti chiedevano esplicitamente delle ricariche telefoniche in cambio delle immagini hard che talvolta si sostanziavano anche in video chiamate.
Ciò Che qualifica una condotta come prostituzione (come del resto dalla stessa matrice latina del termine) è il fatto di mettere il proprio corpo alla mercè altrui disponendone, dietro corrispettivo, secondo la volontà dello stesso.
Sebbene, quindi, da un punto di vista morale, l'attività posta in essere dalla F. possa apparire così definibile (intesa, cioè, come il compimento di un qualsiasi atto sessuale, dietro pagamento di un corrispettivo e che risulti finalizzato, in via diretta ed immediata, a soddisfare la libidine di colui che ha chiesto o che è destinatario della prestazione -interpretazione ormai consolidata di questa Corte, Sez. 3, 22.4.04 n. 534, Marinone; 22.4.2004, Verzetti; 3.6.2004 n. 737, Bongi), di certo, come spesso detto anche per altri settori dell'esistente, l'ordinamento giuridico penale non sempre si sovrappone a valutazioni di ordine etico. Tanto è vero che la prostituzione diviene di interesse del legislatore nella misura in cui si registri un approfittamento altrui (a vari titoli) nell'attività di meretricio che un soggetto può però, compiere liberamente (sempre che, in sé ciò non avvenga con modalità lesive di altre disposizioni di legge).
Diversamente opinando - se si eccettua il caso di soggetti minorenni dove la normativa è ovviamente e giustamente restrittiva e protettiva - si finirebbe per sanzionare penalmente anche la libera espressione della sessualità da parte di adulti che si realizza anche attraverso la produzione di fotogrammi o filmati erotici, nell'incontro in circoli provati per "scambi di coppie" o, più semplicemente, nell'apprezzamento di spettacoli in locali aperti al pubblico adulto ove si assiste alla c.d. lap-dance o a spettacoli di spogliarello (taluni perfino famosi nel mondo).
Il punto nodale della vicenda in esame è rappresentato dalla enucleazione, in capo al marito della F., degli estremi di un comportamento riconducibile ad una delle condotte descritte dalla L. n. 75 del 1958, art. 3.
Non essendo ancora stato formulato un capo di imputazione - vista la fase pre-processuale nella quale ci si trova - il Tribunale, nel provvedimento impugnato, ha ritenuto di individuare una sorta di "agevolazione" della prostituzione della moglie, da parte del V. nel fatto di avere curato l'attivazione di utenze su cui confluivano gli accrediti sotto forma di ricariche telefoniche o avere contribuito alla ricerca di clienti spingendoli a "chattare" con la moglie ovvero anche monetizzato i crediti sulle utenze ricevendo gli assegni circolari a suo nome e depositando i corrispettivi sul libretto postale.
Questa S.C. ha già avuto occasione di occuparsi di una vicenda analoga ma, proprio la caratteristica differenziale tra quel caso ed il presente convince della necessità di pervenire, nel presente ricorso alla conclusione che non ricorra il fumus del'ipotesi criminosa formulata.
Ed infatti, era stato affermato che (sez. 3, 21.3.06, Terrazzi, rv. 233929) le prestazioni sessuali eseguite in videoconferenza via web- chat, in modo da consentire al fruitore delle stesse di interagire in via diretta ed immediata con chi esegue la prestazione, con la possibilità di richiedere il compimento di determinati atti sessuali, assume il valore di prostituzione e rende configurabile il reato di sfruttamento della prostituzione nei confronti di coloro che abbiano reclutato gli esecutori delle prestazioni o che abbiano reso possibile i collegamenti via internet, atteso che l'attività di prostituzione può consistere anche nel compimento di atti sessuali di qualsiasi natura eseguiti su sè stesso in presenza di colui che, pagando un compenso, ha richiesto una determinata prestazione al fine di soddisfare la propria libido, senza che avvenga alcun contatto fisico fra le parti.
Nella specie, però, non solo non è emersa alcuna forma di coazione o semplicemente induzione da parte dell'indagato nei confronti della moglie, bensì, esattamente il contrario, vale a dire, una comune "intraprendenza" nell'avviare i contatti sulle chat-lines.
L'attività è risultata di comune accordo come riferisce la stessa ordinanza del Tribunale per il Riesame ove si dice che, dagli atti del P.M., risulta che "ciascuno dei coniugi, dopo aver attivato un "nickname" (videohot, videolina) sulla chat comunità on line "Tim cafè" della Telecom, inviava messaggi con cui faceva intendere, di essere una donna interessata a contattare uomini per scambiare foto e filmati a contenuto erotico - pornografico e per organizzare incontri; una volta ricontattati da persone presenti sulla chat-line, i due, all'inizio si limitavano a conversare, per poi esplicitamente richiedere ricariche telefoniche in cambio dell'invio di immagini e film hard".
Se ciò è indiscusso da parte dello stesso Tribunale e se, allo stato, è vero - per non essere stato smentito in alcun modo - che i proventi di tale attività confluivano su conti comuni (cointestati, cioè, ai due coniugi) non si può che prendere atto, senza ulteriori commenti (che qui non competono) della lucrosa - ma non illecita (per lo meno, nei termini qui ipotizzati) - attività posta in essere dal V., d'intesa e con la collaborazione, della moglie.
Per l'effetto, il provvedimento di sequestro deve essere annullato senza rinvio perché adottato in assenza dei presupposti di legge e quanto appreso (denaro e materiale informatico) deve essere dissequestrato e restituito all'avente diritto ».
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Serve il consenso per telefonate, sms ed e-mail. Liberi invece gli indirizzi delle liste elettorali
Il comunicato del Garante privacy:
« Si avvicinano le elezioni e l'Autorità Garante per la privacy ha approvato di recente un apposito provvedimento [doc. web 2181429] (pubblicato sulla G.U n.11 del 14 gennaio 2013) che conferma le regole già stabilite dal provvedimento generale [doc. web 1165613] in materia e prevede speciali casi di esonero temporaneo dall'informativa per i partiti e movimenti politici. Queste le modalità in base alle quali partiti politici e candidati possono utilizzare correttamente a fini di propaganda elettorale i dati personali dei cittadini (es. indirizzo, telefono, e- mail etc.).
Dati utilizzabili senza consenso. Per contattare gli elettori ed inviare materiale di propaganda, partiti, organismi politici, comitati promotori, sostenitori e singoli candidati possono usare senza il consenso dei cittadini i dati contenuti nelle liste elettorali detenute dai Comuni, nonché i dati personali di iscritti ed aderenti. Possono essere usati anche altri elenchi e registri in materia di elettorato passivo ed attivo (es. elenco degli elettori italiani residenti all'estero) ed altre fonti documentali detenute da soggetti pubblici accessibili a chiunque. Si possono utilizzare dati raccolti nel quadro delle relazioni interpersonali avute con cittadini ed elettori.
Dati utilizzabili con il previo consenso. E' necessario il consenso per particolari modalità di comunicazione elettronica come sms, e-mail, mms, per telefonate preregistrate e fax. Stesso discorso nel caso si utilizzino dati raccolti automaticamente su Internet o ricavati da forum o newsgroup, liste di abbonati ad un provider, dati presenti sul web per altre finalità.
Continuerà ad essere obbligatorio raccogliere il consenso per poter usare i dati degli abbonati presenti negli elenchi telefonici, i quali dovranno quindi preventivamente manifestare la loro disponibilità a ricevere questo tipo di telefonate. Sono utilizzabili, sempre se si è ottenuto preventivamente il consenso degli interessati, anche i dati relativi a simpatizzanti o altre persone già contattate per singole iniziative o che vi hanno partecipato (es. referendum, proposte di legge, raccolte di firme).
Dati non utilizzabili. Non sono in alcun modo utilizzabili gli archivi dello stato civile, l'anagrafe dei residenti, indirizzi raccolti per svolgere attività e compiti istituzionali dei soggetti pubblici o per prestazioni di servizi, anche di cura; liste elettorali di sezione già utilizzate nei seggi; dati annotati privatamente nei seggi da scrutatori e rappresentanti di lista durante operazioni elettorali.
Informazione ai cittadini. I cittadini devono essere sempre informati sull'uso che si fa dei loro dati. Se i dati non sono raccolti direttamente presso l'interessato, l'informativa va data all'atto della registrazione dei dati o al momento del primo contatto.
Per i dati raccolti da registri ed elenchi pubblici o in caso di invio di materiale propagandistico di dimensioni ridotte (c.d. "santini"), il Garante ha consentito a partiti e candidati una temporanea sospensione dell'informativa fino al 30 aprile 2013.
Roma, 15 gennaio 2013 »
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Note legali. Quanto precede non costituisce né sostituisce una consulenza legale. Testi senza carattere di ufficialità
Il testo della lettera:
«Caro Ministro,
gli ultimi terribili casi di giovanissimi che hanno deciso di porre fine alla loro vita per essersi sentiti violati nella loro dignità da insulti e offese diffusi on line così laceranti per loro da indurli a questo gesto estremo, pongono con forza la necessità inderogabile di affrontare il tema dell'uso responsabile dei social network.
Questo rappresenta oggi per genitori, istituzioni scolastiche, organismi di garanzia e media, uno dei primi obiettivi da perseguire a salvaguardia innanzitutto dei nostri ragazzi.
Le nuove forme di comunicazione e condivisione, l'esito forse più rivoluzionario di cambiamento nei rapporti sociali, che giovani e meno giovani usano per dialogare, scambiarsi opinioni, cercare informazioni, esprimere idee ed emozioni, lavorare, essere in contatto con il mondo mettono sempre più in luce, brutalmente, anche un loro "lato oscuro" che è bene conoscere e prevenire. Lo sviluppo tecnologico è sempre connotato dall'endiadi "opportunità-rischi", ma mai come con l'avvento della Rete questa doppia faccia si mostra in tutta la sua evidenza. Non si vuole certo demonizzare i social network, ma evidenziare il bisogno di usarli senza nuocere a se stessi e agli altri.
Non si tratta solo dei pericoli legati all'autoesposizione, al divulgare senza remore anche gli aspetti più intimi, al "postare" foto e video di cui soprattutto i giovani potrebbero pentirsi in futuro. I rischi che stiamo sperimentando riguardano l'enorme potenziale di danno che, come nel caso del cyberbullismo, i nuovi strumenti di comunicazione, proprio per la loro stessa primaria qualità di raggiungere con un click un numero elevatissimo di persone, portano con sé.
È con questa preoccupazione, che so pienamente condivisa, che mi rivolgo a Lei, Signor Ministro, e a tutta la realtà della scuola, affinché il tema della tutela della riservatezza e della dignità delle persone nel mondo on line venga assunto come momento imprescindibile di formazione dei nostri giovani.
È aiutandoli a conoscere realmente gli strumenti che abitualmente usano, ma di cui spesso ignorano i pericoli, che potremmo garantire loro un'autentica capacità di costruire se stessi, di sviluppare in libertà e armonia la loro identità.
Il Garante per la privacy avverte forte l'esigenza di unire gli sforzi in una battaglia che deve vederci prevalere: quella per garantire il rispetto a ognuno di noi, a partire dai più giovani che sono i più esposti ai pericoli di una "terra incognita" qual è spesso Internet, e la cui fragilità è ora accentuata dalle sfide tecnologiche che stanno cambiando il nostro modo di essere.
La Sua adesione all'iniziativa dedicata proprio ai social network e al corretto uso delle nuove tecnologie, con la quale la nostra Autorità intende quest'anno celebrare il prossimo 28 gennaio la Giornata europea della protezione dei dati personali, è lì del resto a testimoniare, oltre che la Sua personale sensibilità sul tema e il concreto impegno fin qui prodigato, anche questo comune obiettivo.
Quella del 28 gennaio sarà anche l'occasione per il Garante, da sempre impegnato a sensibilizzare i giovani sul valore della protezione dei dati e sulla cultura del rispetto, di mettere a loro disposizione sul sito istituzionale dell'Autorità un video di "istruzioni per l'uso" dei social network. L'intento è quello di aiutare i nostri ragazzi a servirsi di questi strumenti di libertà in maniera consapevole e sicura.
Roma, 9 gennaio 2013
Antonello Soro»
Fonte: www.garanteprivacy.it
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