L'Avv.
Giuseppe Briganti è Avvocato in Urbino dal 2001 e mediatore
professionista e formatore nei corsi per mediatori dal 2011. Dal 2001
cura il sito www.iusreporter.it dedicato alla ricerca giuridica sul
Web e al diritto delle nuove tecnologie. Svolge attività di
docenza, è autore di pubblicazioni giuridiche e collabora con
riviste giuridiche
(Copyright Immagine
Maksym Yemelyanov - Fotolia.com)
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Nel mese di marzo 2012 ho partecipato alla fase sperimentale di Virtual Mediation Lab
Come si legge nel sito web del progetto:
Virtual Mediation Lab e' un progetto pilota ideato da Giuseppe Leone e sponsorizzato dalla Association for Conflict Resolution - Hawaii Chapter Il suo scopo e' di dimostrare come mediatori in tutto il mondo possono far pratica con le tecniche apprese durante i loro corsi di formazione partecipando - insieme ad altri mediatori - a simulazioni online di mediazione con Skype.
La fase sperimentale di Virtual Mediation Lab in Italia si e' conclusa con successo il 28 marzo 2012, dopo aver condotto 20 simulazioni online di mediazione con Skype per casi di natura commerciale, familiare, lavoro, Internazionale e RCA.
In due delle simulazioni online di mediazione alle quali ho partecipato ho rivestito il ruolo di una delle parti in lite, mentre nella terza simulazione ho rivestito il ruolo di mediatore in una controversia in materia di risarcimento danni da sinistro stradale.
Dato anche il mio particolare interesse per la mediazione telematica, l'esperimento si è rivelato molto interessante e stimolante e mi ha consentito di confrontarmi con altri colleghi mediatori superando ogni problema legato alla distanza fisica.
Colgo dunque l'occasione anche per ringraziare Giuseppe Leone, ideatore del progetto.
Giuseppe Briganti, avvocato e mediatore
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Studio Legale Avvocato Giuseppe Briganti
Pesaro - Urbino
La recente proposta di Regolamento europeo relativo alla risoluzione delle controversie online dei consumatori (regolamento sull'ODR per i consumatori) (COM/2011/0794 definitivo - 2011/0374 (COD)) prevede l'istituzione della Piattaforma europea di risoluzione delle controversie online (Piattaforma ODR) (art. 5).
La Piattaforma ODR deve essere un sito web interattivo che offra un accesso elettronico e gratuito in tutte le lingue ufficiali dell'Unione.
La Piattaforma costituisce l'unico punto di accesso per i consumatori e i professionisti che desiderano risolvere in ambito extragiudiziale le controversie oggetto del Regolamento.
A tal proposito, l'art. 2 della proposta prevede che il Regolamento si applichi alla risoluzione extragiudiziale delle controversie contrattuali tra consumatori e professionisti connesse alla vendita di beni o alla fornitura di servizi online a livello transfrontaliero.
Ai fini della proposta di regolamento (art. 4), per "procedura di risoluzione alternativa delle controversie" (procedura ADR) s'intende una procedura per la risoluzione extragiudiziale di una controversia mediante l'intervento di un organismo di risoluzione delle controversie che propone o impone una soluzione o riunisce le parti allo scopo di trovare una soluzione amichevole.
Pare rientrarvi pertanto anche la mediazione telematica.
La Piattaforma ODR ha, in particolare, le funzioni seguenti:
- mette a disposizione un modulo di reclamo elettronico che può essere compilato dalla parte ricorrente;
- propone alle parti, in base alle informazioni contenute nel modulo di reclamo elettronico, uno o più organismi ADR competenti e fornisce informazioni sulle loro tariffe, se del caso, sulla lingua o sulle lingue in cui sarà condotta la procedura, sulla durata approssimativa della procedura oppure comunica alla parte ricorrente che in base alle informazioni presentate non è stato possibile individuare alcun organismo ADR competente;
- riferisce i reclami all'organismo ADR cui le parti hanno concordato di rivolgersi;
- consente alle parti e all'organismo ADR di condurre online la procedura di risoluzione della controversia;
- mette a disposizione un modulo elettronico tramite il quale gli organismi ADR trasmettono le informazioni di cui all'articolo 9, lettera c);
- mette a disposizione un sistema di commenti (feedback) che consente alle parti di esprimere il proprio punto di vista sul funzionamento della Piattaforma ODR e sull'organismo ADR che ha trattato la loro controversia;
- fornisce informazioni generali sulla risoluzione alternativa delle controversie quale mezzo extragiudiziale di composizione delle controversie;
- offre accesso a statistiche sui risultati delle controversie trattate dagli organismi ADR cui sono stati trasmessi reclami tramite la Piattaforma ODR.
In base all'art. 6 della proposta di regolamento, ogni Stato membro UE designa un Punto di contatto ODR e comunica il suo nome e le modalità di contatto alla Commissione. Gli Stati membri possono conferire la responsabilità per i punti di contatto ODR ai loro centri della rete di Centri europei dei consumatori, alle associazioni dei consumatori o a qualsiasi altro organismo. Ogni punto di contatto ODR dispone di almeno due assistenti per la risoluzione delle controversie online ("Assistenti ODR").
Gli Assistenti ODR forniscono assistenza per la risoluzione delle controversie riguardanti reclami presentati mediante la Piattaforma, eseguendo le funzioni seguenti:
- all'occorrenza, agevolano la comunicazione tra le parti e l'organismo ADR competente;
- informano i consumatori degli altri mezzi di ricorso se una controversia non può essere risolta tramite la Piattaforma, ad esempio quando il professionista non acconsente all'uso dell'ADR;
- presentano, in base alle esperienze pratiche raccolte nell'esecuzione delle loro funzioni, una relazione annuale di attività alla Commissione e agli Stati membri;
- informano le parti dei vantaggi e degli svantaggi delle procedure applicate dagli organismi ADR proposti.
In base all'art. 7 della proposta di regolamento, per presentare un reclamo alla Piattaforma ODR la parte ricorrente compila il modulo di reclamo elettronico disponibile sul sito web della Piattaforma.
La parte ricorrente può allegare al modulo di reclamo eventuali documenti in formato elettronico a sostegno del proprio reclamo.
Le informazioni presentate dalla parte ricorrente devono essere sufficienti per determinare l'organismo ADR competente.
La Piattaforma ODR fornisce alle parti le informazioni sugli organismi ADR competenti individuati dalla Piattaforma ODR; se sono disponibili più opzioni, gli Assistenti ODR degli Stati membri interessati forniscono alle parti i dettagli dei vari organismi identificati e informazioni sui vantaggi e svantaggi delle procedure applicate da ciascun organismo in modo da consentire alle parti di operare una scelta informata.
A cura dell'Avv. Giuseppe Briganti
Avvocato e mediatore professionista
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Prescrizioni del Garante privacy 22/04/2010:
« Come già affermato da questa Autorità nel provvedimento del 25 giugno 2002 (doc. web n. 29864), anche l'indirizzo e-mail di una persona fisica è da considerarsi un dato personale. Difatti, gli indirizzi e-mail [...] e [...], pur rappresentando un mezzo utilizzato dall'impresa per raccogliere gli ordini della clientela, contengono il nome e cognome delle signore [...] e sono ad esse comunque riferibili da oltre un decennio. L'indirizzo e-mail attribuito al singolo lavoratore per lo svolgimento delle sue mansioni determina quindi una legittima aspettativa di riservatezza sulla corrispondenza, ma non garantisce la confidenzialità dei messaggi inviati e ricevuti tramite lo stesso, poiché l'account ad esso riferibile può essere eccezionalmente nella disponibilità di accesso da parte del datore di lavoro qualora ciò si renda necessario per improrogabili esigenze aziendali, come emerge anche nella deliberazione del 1 marzo 2007 (doc. web n. 1387522), con la quale questa Autorità ha indicato le linee guida per un corretto uso della posta elettronica e di Internet nell'ambito dei rapporti lavorativi.
Come è risultato dalla documentazione acquisita, lo stesso regolamento interno relativo all'uso degli strumenti elettronici messi a disposizione dalla [...] s.r.l., chiarisce che l'indirizzo di posta elettronica è fornito dall'azienda al dipendente per realizzare "le sole finalità istituzionali dell'azienda", tuttavia la presenza di un disciplinare aziendale relativo all'uso della posta elettronica e di Internet da parte dei dipendenti, non esclude che all'interno della corrispondenza scambiata tramite gli account aziendali possano essere anche presenti contenuti di natura strettamente personale e quindi anche dati riferibili a terzi.
Conseguentemente, l'esigenza di tutela si estende anche nei confronti di coloro che inviano i messaggi (di qualunque contenuto, privato o lavorativo) che possono ritenere che il destinatario degli stessi sia esclusivamente una determinata persona.
L'interesse alla tutela dei dati personali delle persone coinvolte (ex dipendenti della [...] s.r.l. e terzi mittenti di e-mail) deve, in una corretta ottica di bilanciamento, essere contemperato con l'interesse della [...] s.r.l. a gestire le informazioni indispensabili all'efficiente attività aziendale, soprattutto in considerazione del fatto che gli indirizzi e-mail delle segnalanti erano utilizzati anche per raccogliere gli ordini della clientela.
Da quanto sopra evidenziato discende dunque la necessità che la [...] s.r.l. proceda alla disattivazione di tutti gli account di posta elettronica appartenenti al dominio [...].it, attribuiti a soggetti che non fanno parte dell'attuale organizzazione imprenditoriale della società, nel termine di 30 giorni dalla notifica del provvedimento. In detto periodo la società dovrà inoltre predisporre un sistema idoneo ad informare i terzi mittenti delle comunicazioni che tutti gli account del dominio [...].it, riferibili ad ex dipendenti dell'[...] s.r.l. che non svolgano attività lavorativa per conto della [...] S.r.l., saranno disattivati, con l'invito, quindi, ad inoltrare la corrispondenza di lavoro ad un indirizzo di posta elettronica alternativo ».
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Il sistema introdotto con il Codice della privacy (d.lg. n. 196 del 2003), informato al prioritario rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali e della dignità della persona (e in particolare della riservatezza e del diritto alla protezione dei dati personali nonché dell'identità personale o morale del soggetto cui gli stessi pervengono), è caratterizzato dalla necessaria rispondenza del trattamento dei dati personali a criteri di proporzionalità, necessità, pertinenza e non eccedenza allo scopo (quest'ultimo costituendo un vero e proprio limite intrinseco del trattamento lecito dei dati personali), che trova riscontro nella compartecipazione dell'interessato nell'utilizzazione dei propri dati personali, a quest'ultimo spettando il diritto di conoscere in ogni momento chi possiede i suoi dati personali e come li adopera, nonché di opporsi al trattamento dei medesimi, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta, ovvero di ingerirsi al riguardo, chiedendone la cancellazione, la trasformazione, il blocco, ovvero la rettificazione, l'aggiornamento, l'integrazione (art. 7 d.lgs. n. 196 del 2003), a tutela della proiezione dinamica dei propri dati personali e del rispetto della propria attuale identità personale e morale.
Pertanto, anche in caso di memorizzazione nella rete internet, mero deposito di archivi dei singoli utenti che accedono alla rete e cioè dei titolari dei siti costituenti la fonte dell'informazione (c.d. siti sorgente), deve riconoscersi al soggetto cui appartengono i dati personali oggetto di trattamento ivi contenuti il diritto all'oblio, e cioè al relativo controllo a tutela della propria immagine sociale, che anche quando trattasi di notizia vera, e a fortiori se di cronaca, può tradursi nella pretesa alla contestualizzazione e aggiornamento dei medesimi, e se del caso, avuto riguardo alla finalità della conservazione nell'archivio e all'interesse che la sottende, financo alla relativa cancellazione.
In ipotesi di trasferimento ex art. 11, comma 1 lett. b), d.lg. n. 196 del 2003 di notizia già di cronaca nel proprio archivio storico il titolare dell'organo di informazione, che, avvalendosi di un motore di ricerca, memorizza la medesima notizia anche nella rete internet, è tenuto ad osservare i criteri di proporzionalità, necessità, pertinenza e non eccedenza dell'informazione, avuto riguardo alla finalità che ne consente il lecito trattamento, nonché a garantire la contestualizzazione e l'aggiornamento della notizia già di cronaca oggetto di informazione e di trattamento, a tutela del diritto del soggetto cui i dati pertengono alla propria identità personale o morale nella sua proiezione sociale, nonché a salvaguardia del diritto del cittadino utente di ricevere una completa e corretta informazione, non essendo al riguardo sufficiente le mera generica possibilità di rinvenire all'interno del "mare di internet" ulteriori notizie concernenti il caso di specie, ma richiedendosi, atteso il ravvisato persistente interesse pubblico alla conoscenza della notizia in argomento, la predisposizione di sistema idoneo a segnalare (nel corso o a margine) la sussistenza di un seguito e di uno sviluppo della notizia, e quale esso sia stato, consentendo il rapido ed agevole accesso da parte degli utenti ai fini del relativo adeguato approfondimento, giusta modalità operative stabilite, in mancanza di accordo tra le parti, del giudice di merito.
Così si è recentemente espressa la Corte di Cassazione (Cassazione civile sez. III, 5 aprile 2012, n. 5525)
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Così si è espresso il Tribunale di Teramo, Sezione distaccata di Giulianova, con la sentenza n. 18 del 16/01/2012:
« [...] Dunque si è di fronte ad una vera e propria "rissa verbale", scatenatasi tra minori (alcuni addirittura minori di anni 14) sul sito web denominato Facebook.
Trattasi in particolare, come è efficacemente spiegato, anche per i suoi riflessi (sempre più crescenti) di rilevanza giudiziaria, nella recente Trib. Monza sez. IV^ nr. 770/10, di un c.d. social network ad accesso gratuito fondato nel 2004 da uno studente dell'Università di Harvard al quale, a far tempo dal settembre 2006, può partecipare chiunque abbia compiuto dodici anni di età: peraltro, se scopo iniziale di F. era il mantenimento dei contatti tra studenti di università e scuole superiori di tutto il mondo, in soli pochi anni ha assunto i connotati di una vera e proprie rete sociale destinata a coinvolgere, in modo trasversale, un numero indeterminato di utenti o di navigatori Internet.
Questi ultimi partecipano creando "profili" contenenti fotografie e liste di interessi personali, scambiando messaggi (privati o pubblici) e aderendo ad un gruppo di c.d. "amici": quest'ultimo aspetto è rilevante, anche ai fini della presente decisione, in quanto la visione dei dati dettagliati del profilo di ogni singolo utente è di solito ristretta agli "amici" dallo stesso accettati.
F., come detto, include alcuni servizi tra i quali la possibilità per gli utenti di ricevere ed inviare messaggi e di scrivere sulla bacheca di altri utenti e consente di impostare l'accesso ai vari contenuti del proprio profilo attraverso una serie di "livelli" via via più ristretti e/o restrittivi (dal livello "Tutti" a quello intermedio "Amici di amici" ai soli "Amici") per di più in modo selettivo quanto ai contenuti o alle stesse "categorie" di informazioni inserite nel profilo medesimo.
Quindi, agendo opportunamente sul livello e sulle impostazioni del proprio profilo, è possibile limitare l'accesso e la diffusione dei propri contenuti, sia dal punto di vista soggettivo che da quello oggettivo.
È peraltro nota agli utenti di F. l'eventualità che altri possano in qualche modo individuare e riconoscere le tracce e le informazioni lasciate in un determinato momento sul sito, anche a prescindere dal loro consenso: trattasi dell'attività di c.d. "tagging" (tradotta in lingua italiana con l'uso del neologismo "taggare") che consente, ad esempio, di copiare messaggi e foto pubblicati in bacheca e nel profilo altrui oppure e-mail e conversazioni in chat, che di fatto sottrae questo materiale dalla disponibilità dell'autore e sopravvive alla stessa sua eventuale cancellazione dal social network.
I gestori del sito (statunitensi, secondo la Polizia Postale), pur reputandosi proprietari dei contenuti pubblicati, declinano ogni responsabilità civile e/o penale ad essi relativa (come dimostra, eloquentemente, una recentissima e dibattuta controversia giudiziaria riguardante il motore di ricerca Google).
In definitiva, coloro che decidono di diventare utenti di F. sono ben consci non solo delle grandi possibilità relazionali offerte dal sito, ma anche delle potenziali esondazioni dei contenuti che vi inseriscono: rischio in una certa misura indubbiamente accettato e consapevolmente vissuto.
Alla luce di tali considerazioni tecniche, appare evidente e condivisibile la preoccupazione della minore istante, e dei suoi genitori, per la diffusione effettiva e potenziale che quelle offese hanno avuto e potrebbero ancora avere dalla loro pubblicazione su quel sito web.
Se cioè, in soldoni, quella vera e propria "rissa verbale" tra minori si fosse consumata nella piazza reale del paese, probabilmente la baruffa si sarebbe conclusa con qualche energico richiamo o al massimo con qualche richiesta di chiarimento rivolta ai genitori dei minori che avevano pronunciato quelle frasi, ma essendosi verificata su quella piazza virtuale, che non conosce limiti alla potenziale diffusione ed esondazione delle offese ivi pubblicate, ben si comprende ogni sofferenza e tutte le preoccupazioni lamentate e denunciate in questa sede addirittura giudiziaria.
Appare a questo punto allora necessario procedere ad individuare il criterio di imputazione della responsabilità in capo ai genitori per i fatti illeciti commessi dai minori naturalmente capaci.
Ritiene lo scrivente di dover condividere sul punto quell'impostazione interpretativa, più rigorosa ed esigente in relazione ai compiti, al ruolo ed alle connesse responsabilità genitoriali, in forza della quale si afferma che i genitori dei minori naturalmente capaci di intendere e di volere, per andare esenti dalla responsabilità di cui all'art. 2048 cc, devono positivamente dimostrare non solo di avere adempiuto all'onere educativo indicato loro dall'art. 147 cc, che non consiste solo nella mera indicazione di regole, conoscenze o moduli di comportamento, bensì pure nel fornire alla prole gli strumenti indispensabili alla costruzione di relazioni umane effettivamente significative per la migliore realizzazione della loro personalità, ma anche di avere poi effettivamente e concretamente controllato che i figli abbiano assimilato l'educazione loro impartita; mentre d'altra parte la gravità e la reiterazione delle condotte poste in essere possono essere poi indice del grado di attuazione di una tale opera di verifica di acquisizione (in termini, App. Milano X^ 16.12.2009 su Resp.civ. e prev. 2010, 7-8).
Evidenziato altresì come la responsabilità genitoriale non venga meno con l'approssimarsi della maggiore età, allorquando invece (ed anzi) la personalità del minore è ancora fragile (nel senso di "indefinita") ed egli conserva l'inattitudine a dominare i propri istinti (Cass.III^ nr. 18804/09), che con l'approssimarsi della maggiore età tendono oltretutto a subìre nuove pulsioni, va ulteriormente ribadito come, ai fini dell'esonero dalla loro responsabilità, i genitori debbano in sostanza fornire la prova liberatoria di non aver potuto impedire il fatto; prova che si concretizza nella dimostrazione però, oltre di aver impartito una educazione consona alle proprie condiioni sociali e familiari, anche di avere esercitato sul medesimo una vigilanza adeguata all'età (Cass. III^ nr. 9509/07).
L'applicazione concreta di tali principi nella specifica fattispecie al vaglio non può non fare i conti allora con l'assoluta peculiarità dello strumento utilizzato per la diffusione delle frasi ingiuriose.
Per andare esenti da ogni responsabilità ai sensi dell'art. 2048 cc, i genitori odierni convenuti non avrebbero potuto limitarsi ad allegare e chiedere di comprovare (come hanno fatto ai capitoli a-f delle richieste istruttorie) di avere impartito al loro figlio minore un'educazione sostanzialmente consona alle proprie condizioni socio-economiche, ma avrebbero dovuto allegare e comprovare di avere anche poi posto in essere quelle attività di verifica e di controllo sull'effettiva acquisizione di quei valori da parte del minore; attività che invece, data la persistenza e reiterazione del comportamento ingiurioso-diffamatorio, consumatosi sul web lungo almeno tre giorni consecutivi, può agevolmente presumersi non essere stata posta in essere dai coniugi convenuti, quantomeno in modo adeguato.
D'altra parte, nel momento in cui i genitori, evidentemente consapevoli delle potenzialità e dei rischi di internet, acconsentono ad un accesso del proprio figlio minore alla rete, quella doverosa attività di verifica e controllo "a posteriori" dell'indottrinamento educativo del proprio figlio, pure in ipotesi prestato in tutta buona fede, non può non fare i conti con l'estrema pericolosità di quel navigare e della già evidenziata potenziale esondazione incontrollabile dei contenuti e delle proprie idee ivi manifestate.
Quella doverosa attività di vigilanza e controllo che investe i genitori deve allora necessariamente concretizzarsi, nello specifico, in una limitazione per forza di cose quantitativa e qualitativa di quell'accesso, proprio al fine di evitare (per quello che interessa in questa sede evidenziare e senza che appaia necessario sottolineare qui altri e forse pure ben più gravi rischi) che quel potente mezzo fortemente relazionale e divulgativo, e proprio per tali qualità tanto affascinante, nelle mani di soggetti ancora non in grado di discernere le conseguenze del proprio agire, possa trasformare una "baruffa (anche) chiozzotta" tra bambini, degna al massimo di un'energica lavata di testa, in una lotta in rete senza quartiere tra bande, all'esito della quale, in termini di reputazione e onorabilità di tutti i partecipanti, potrebbero restare solo macerie. E quella attività genitoriale di controllo "a posteriori" appare tanto più doverosa, e quindi ancor più richiedibile da chi ora è stato chiamato a giudicare con il rigore della regola di diritto, in un periodo storico in cui sollecitazioni negative in tal senso aggrediscono la sensibilità dei minori fin nei luoghi un tempo ritenuti più sicuri, come accade ad esempio attraverso i modelli comportamentali e relazionali diffusi dai massa-media più comuni e di facile accesso ad ogni ora della giornata, con continuità martellante.
Dunque, i caratteri della persistenza e della continuità, che quell'attività offensiva posta in essere dal minore ha nello specifico assunto (fino, come visto, alla creazione di un "gruppo" finalizzato ad offendere), inducono a ritenere ampiamente raggiunta la prova positiva dell'inadempimento da parte dei genitori convenuti a quel dovere di verifica dell'assimilazione effettiva dell'educazione pure eventualmente impartita al minore ed a quell'obbligo giuridico di controllo della corrispondenza concreta tra i principi pure in ipotesi inculcati ed i comportamenti concreti che il figlio quotidianamente poi pone in essere [...] ».
A cura dell'Avvocato Giuseppe Briganti, avvbriganti.iusreporter.it
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Così si è recentemente espresso il Tribunale di Modena, sez. II, con sentenza del 9 marzo 2012:
« [...] III. Le spese processuali seguono la soccombenza (art. 91 c.p.c.) e sono liquidate come da dispositivo in forza di criterio equitativo in seguito ad abrogazione delle tariffe professionali (art. 9 d.l. 24 gennaio 2012 n. 1), che mantengono comunque valore indicativo.
Nel passaggio della causa dalla fase procedimentale a quella processuale in seguito a mutamento del rito, è stato regolarmente esperito il procedimento di mediazione (art. 5, 4° comma, letto b, d.lg. n. 28 del 2010), cui entrambe le parti hanno aderito, per quanto non sia stato raggiunto un accordo conciliativo (come risulta dal relativo verbale dell'8 febbraio u.s.).
Ebbene, le spese di "avvio del procedimento" sono a carico di ciascuna parte che aderisce alla mediazione nella misura di euro 40, oltre ad Iva (art. 16 D.M. 18 ottobre 2010, n. 180), spese che ciascuna parte ha sopportato anticipatamente.
Le "spese di mediazione" invece sono dovute in solido da ciascuna parte, secondo "l'importo indicato nella tabella allegata al decreto" (art. 16, 3° comma, D.M. cit.).
Nella specie le attrici hanno esborsato ed anticipato la somma complessiva di euro 104,87 (doc. 4). L'importo è dovuto in solido da ciascuna parte che ha aderito al procedimento.
Stante la riconducibilità eziologica del procedimento di composizione della lite all'accertato inadempimento del convenuto, in forza del principio di causalità le spese sostenute per l'obbligatoria mediazione sono recuperabili dal vincitore, in quanto esborsi (art. 91 c.p.c.). Il convenuto va perciò condannato pure al rimborso della somma complessiva di euro 152 sostenuta per espletamento della mediazione [...] ».
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Giurisprudenza
La presente sezione ha ad oggetto sentenze e altri provvedimenti venuti in rilievo relativamente ai casi e alle questioni trattati dallo studio legale o particolarmente interessanti con riferimento alle materie trattate dallo Studio legale
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