L'Avv.
Giuseppe Briganti è Avvocato in Urbino dal 2001 e mediatore
professionista e formatore nei corsi per mediatori dal 2011. Dal 2001
cura il sito www.iusreporter.it dedicato alla ricerca giuridica sul
Web e al diritto delle nuove tecnologie. Svolge attività di
docenza, è autore di pubblicazioni giuridiche e collabora con
riviste giuridiche
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La Corte di Cassazione (sez. III penale, sentenza 10 settembre – 8 ottobre 2015, n. 40356) ha confermato la condanna per violenza privata (art. 610 cod. pen.) e trattamento illecito di dati personali (art. 167 Codice privacy) inflitta a un uomo che, al fine di costringere una donna a intrattenere rapporti telematici con lui, aveva dapprima minacciato di divulgare su YouTube, e poi aveva effettivamente pubblicato on-line, ledendo così il diritto alla riservatezza dell’immagine, un video in cui la ragazza compariva con la gonna sollevata.
In particolare la Corte afferma che:
[…] Il delitto di violenza privata si consuma ogni qual volta l’autore con la violenza o con la minaccia lede il diritto del soggetto passivo di autodeterminarsi liberamente, costringendolo a fare, tollerare od omettere qualcosa. Al contrario della minaccia che ha natura formale, la violenza privata è un reato di danno, nel quale la condotta sanzionata si realizza con la coartazione della volontà altrui e l’evento lesivo si concretizza nel comportamento coartato di colui che l’ha subita […]
[…] Nel reato di illecito trattamento di dati personali di cui al D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 167 […] il concetto di nocumento è ben più ampio di quello di danno, volendo esso abbracciare qualsiasi effetto pregiudizievole che possa conseguire alla arbitraria condotta invasiva altrui. Nel richiedere appunto il nocumento, la legge vuole escludere dalla sfera del penalmente rilevante quelle condotte, pure intrusive, che tuttavia siano rimaste del tutto irrilevanti nelle loro conseguenze […]
Studio legale Avv. Giuseppe Briganti
Pesaro-Urbino
Il danno non patrimoniale risarcibile ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 15, (c.d. codice della privacy) non si sottrae alla verifica di 'gravità della lesione' (concernente il diritto fondamentale alla protezione dei dati personali, quale intimamente legato ai diritti ed alle libertà indicate dall'art. 2 del codice, convergenti tutti funzionalmente alla tutela piena della persona umana e della sua dignità) e di 'serietà del danno' (quale perdita di natura personale effettivamente patita dall'interessato), che, in linea generale, si richiede in applicazione dell'art. 2059 c.c., nelle ipotesi di pregiudizio inferto ai diritti inviolabili previsti in Costituzione.
Ciò in quanto, anche nella fattispecie di danno non patrimoniale di cui al citato art. 15, opera il bilanciamento (siccome pienamente consentito all'interprete dal modo in cui si è realizzata nello specifico l'interpositio legislatoris) del diritto tutelato da detta disposizione con il principio di solidarietà - di cui il principio di tolleranza è intrinseco precipitato -, il quale, nella sua immanente configurazione, costituisce il punto di mediazione che permette all'ordinamento di salvaguardare il diritto del singolo nell'ambito di una concreta comunità di persone che deve affrontare i costi di una esistenza collettiva.
L'accertamento di fatto rimesso, a tal fine, al giudice del merito, in forza di previe allegazioni e di coerenti istanze istruttorie di parte, dovrà essere ancorato alla concretezza della vicenda materiale portata alla cognizione giudiziale ed al suo essere maturata in un dato contesto temporale e sociale, dovendo l'indagine, illuminata dal bilanciamento anzidetto, proiettarsi sugli aspetti contingenti dell'offesa e sulla singolarità delle perdite personali verificatesi.
Un siffatto accertamento - che, ove l'offesa non superi la soglia di minima tollerabilità o il danno sia futile, può condurre anche ad escludere la possibilità di somministrare il risarcimento del danno - è come tale sottratto al sindacato di legittimità se congruamente motivato.
Così Cassazione civile, sez. III, 15/07/2014 (ud. 09/05/2014, dep. 15/07/2014), n. 16133.
Fattispecie relativa all'asserito illecito trattamento di dati personali ad opera di una Università. In particolare, risultava possibile, oltre che attraverso l'indirizzo, inserito direttamente in Internet, '(OMISSIS)', anche con la sola digitazione del nome e cognome o soltanto il cognome sul motore di ricerca 'Google', avere accesso al file excel '(OMISSIS)', recante il nominativo di 3.724 studenti specializzandi e/o ex studenti specializzati, tra cui quello dei ricorrenti, con evidenziazione dei relativi dati personali e cioè generalità, codice fiscale, attività di studio, posizione lavorativa e retributiva.
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Note legali. Quanto precede non costituisce né sostituisce una consulenza legale. Testi senza carattere di ufficialità
"L'art. 494 cod. pen. punisce chiunque, al fine di procurare a sè o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all'altrui persona, o attribuendo a sè o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici.
Oggetto della tutela penale è l'interesse riguardante la pubblica fede, in quanto questa può essere sorpresa da inganni relativi alla vera essenza di una persona o alla sua indentità o ai suoi attributi sociali; siccome si tratta di inganni che possono superare la ristretta cerchia d'un determinato destinatario, il legislatore ha ravvisato in essi una costante insidia alla fede pubblica, e non soltanto alla fede privata e alla tutela civilistica del diritto al nome.
In questa prospettiva, è evidente la configurazione, nel caso concreto, di tutti gli elementi costitutivi della contestata fattispecie delittuosa.
1.3 Nella specie, il ricorrente ha creato un profilo sul social network Badoo denominato (OMISSIS), riproducente l'effige della persona offesa, con una descrizione tutt'altro che lusinghiera (ad esempio nelle informazioni personali era riportata la dicitura 'Mangio solo cibo spazzatura e bevo birra... quando mi ubriaco vado su di giri') e con tale falsa identità usufruiva dei servizi del sito, consistenti essenzialmente nella possibilità di comunicazione in rete con gli altri iscritti (indotti in errore sulla sua identità) e di condivisione di contenuti (tra cui la stessa foto ritraente il C.).
1.4 Il dolo specifico del delitto di cui all'art. 494 cod. pen., consiste nel fine di procurare a se o ad altri un vantaggio patrimoniale o non, oppure di recare ad altri un danno (Sez. 5, n. 13296 del 28/01/2013, Marino, Rv. 255344) e sul punto le decisioni di merito danno conto della sussistenza di entrambi i profili: dei vantaggi ritraibili dall'attribuzione di una diversa identità, che il ricorrente utilizzava per poter intrattenere rapporti con altre persone (essenzialmente ragazze) o per soddisfacimento di una propria vanità (vantaggio non patrimoniale); della idoneità della condotta a ledere l'immagine e la dignità del C. (come dimostrato dall'aggressione verbale dello sconosciuto, che lo accusò di aver insultato la propria fidanzata, minacciando di denunciarlo nonché dalle rimostranze della conoscente, che lo aveva accusato di non essere una persona seria).
1.3 Con riferimento al fenomeno della comunicazione a mezzo internet, questa Corte ha recentemente ritenuto sussistere il delitto di sostituzione di persona nella condotta di colui che crei ed utilizzi un 'account' ed una casella di posta elettronica, servendosi dei dati anagrafici di un diverso soggetto, inconsapevole, con il fine di far ricadere su quest'ultimo l'inadempimento delle obbligazioni conseguenti all'avvenuto acquisto di beni mediante la partecipazione ad aste in rete (Sez. 3, n. 12479 del 15/12/2011 - dep. 03/04/2012, Armellini, Rv. 252227), nonché nella condotta di chi inserisca nel sito di una 'chat line' a tema erotico il recapito telefonico di altra persona associato ad un 'nickname' di fantasia, qualora abbia agito al fine di arrecare danno alla medesima, giacché in tal modo gli utilizzatori del servizio vengono tratti in inganno sulla disponibilità della persona associata allo pseudonimo a ricevere comunicazioni a sfondo sessuale (Sez. 5, n. 18826 del 28/11/2012 - dep. 29/04/2013, Celotti, Rv. 255086).
1.4 Più aderente alla fattispecie oggetto di questo giudizio è però quella esaminata da una decisione meno recente di questa Sezione (Sez. 5, n. 46674 del 08/11/2007, Adinolfi, Rv. 238504), della condotta di colui che crei ed utilizzi un 'account' di posta elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un diverso soggetto, inducendo in errore gli utenti della rete internet nei confronti dei quali le false generalità siano declinate e con il fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state abusivamente spese (nella specie a seguito dell'iniziativa dell'imputato, la persona offesa si ritrovò a ricevere telefonate da uomini che le chiedevano incontri a scopo sessuale).
In questa fattispecie, come in quella, infatti, la descrizione di un profilo poco lusinghiero, come sopra ricordato, consente di riconoscere, oltre all'intento di conseguire un vantaggio non patrimoniale, quello di recare un danno all'altrui reputazione, intesa come l'immagine di sé presso gli altri".
Così Cassazione penale, sez. V, 23/04/2014 (ud. 23/04/2014, dep. 16/06/2014), n. 25774
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A mero titolo di esempio, il Garante privacy ha predisposto un modello di banner disponibile sul proprio sito www.garanteprivacy.it
Fonte: www.garanteprivacy.it
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Note legali. Quanto precede non costituisce né sostituisce una consulenza legale. Testi senza carattere di ufficialità
Maggiori tutele per gli utenti che decideranno di effettuare acquisti di beni e servizi digitali utilizzando nuove forme di pagamento elettronico. Regole certe per le società del settore.
Il Garante privacy ha definitivamente adottato il provvedimento [doc. web n. 3161560] (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale), che disciplina il trattamento dei dati personali di chi usufruisce dei cosiddetti servizi di mobile remote payment, utilizzando smartphone, tablet, pc, stabilendo un primo quadro organico di regole in grado di assicurare la protezione dei dati senza penalizzare lo sviluppo del mercato digitale.
In sintesi, ecco le prescrizioni del Garante privacy.
Informativa
Gli utenti dovranno essere informati sulle modalità di trattamento effettuato sui loro dati sin dalla sottoscrizione o adesione al servizio di pagamento da remoto.
Consenso
Le società non dovranno richiedere il consenso degli utenti per il trattamento dei dati relativi alla fornitura del servizio di remote mobile payment.
Il consenso è invece obbligatorio per la comunicazione dei dati personali a terzi oppure in caso di loro utilizzo per attività di marketing e profilazione.
Conservazione
I dati degli utenti trattati dagli operatori, dagli aggregatori e venditori, potranno essere conservati al massimo per 6 mesi. L'indirizzo Ip dell'utente dovrà invece essere cancellato dal venditore una volta terminata la procedura di acquisto del contenuto digitale.
Misure di sicurezza
Operatori, aggregatori e venditori saranno tenuti ad adottare precise misure per garantire la confidenzialità dei dati, quali: sistemi di autenticazione forte per l'acceso ai dati da parte del personale addetto, e procedure di tracciamento degli accessi e delle operazioni effettuate; criteri di codificazione dei prodotti e servizi; forme di mascheramento dei dati mediante sistemi crittografici.
Ulteriori misure a tutela della privacy
Dovranno essere adottate misure al fine di impedire l'integrazione delle diverse tipologie di dati a disposizione dell'operatore telefonico (dal consumo telefonico ai dati sull'uso della tv interattiva) e di evitare la profilazione "incrociata" dell'utenza basata su abitudini, gusti e preferenze, a meno che non venga espresso uno specifico consenso informato da parte dell'utente.
I venditori, inoltre, per garantire maggiore riservatezza alle transazioni dei clienti, potranno trasmettere all'operatore telefonico solo le categorie merceologiche di riferimento dei prodotti digitali offerti senza indicazioni sullo specifico contenuto del prodotto o servizio acquistato, a meno che non sia necessario per la fornitura di servizi in abbonamento.
Dovranno essere previsti anche accorgimenti tecnici per disattivare servizi destinati ad un "pubblico adulto" e per inibirne l'accesso a minorenni.
Il Garante si riserva di intervenire nuovamente sui servizi di mobile payment tenendo conto di eventuali innovazioni, anche normative, di un settore in continua evoluzione.
Fonte: www.garanteprivacy.it
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Sentenza Corte Giustizia UE (Quarta Sezione)
5 giugno 2014
"Diritti d'autore - Società dell'informazione - Direttiva 2001/29/CE - Articolo 5, paragrafi 1 e 5 - Riproduzione - Eccezioni e limitazioni - Realizzazione di copie di un sito Internet sullo schermo e nella cache del disco fisso durante la navigazione in Internet - Atto di riproduzione temporaneo - Atto transitorio o accessorio - Parte integrante ed essenziale di un procedimento tecnologico - Utilizzo legittimo - Rilievo economico proprio"
Nella causa C-360/13
"L'articolo 5 della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione, dev'essere interpretato nel senso che le copie sullo schermo del computer dell'utente e le copie nella 'cache' del disco fisso di tale computer, realizzate da un utente finale durante la consultazione di un sito Internet, soddisfano i requisiti in base ai quali tali copie devono essere temporanee, transitorie o accessorie e costituire una parte integrante ed essenziale di un procedimento tecnologico, nonché i requisiti stabiliti all'articolo 5, paragrafo 5, di tale direttiva, e possono pertanto essere realizzate senza l'autorizzazione dei titolari di diritti d'autore".
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"L'art. 734 bis cod. pen. [...] punisce 'chiunque, nei casi di delitti previsti dagli artt. 600 bis, 600 ter e 600 quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'art. 600 quater, 600quinquies, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies e 609 octies, divulghi, anche attraverso mezzi di comunicazione di massa, le generalità o l'immagine della persona offesa senza il suo consenso'.
In assenza di consenso della persona offesa, dunque, l'illiceità della condotta s'incentra sull'attività di 'divulgazione', consistente nel portare a conoscenza di un numero indeterminato di persone notizie riservate (nel caso che ci occupa le generalità o l'immagine di 'qualsiasi' persona offesa di quegli specifici reati), con ogni modalità, prevedendosi espressamente che ciò possa avvenire 'anche attraverso mezzi di comunicazione di massa', tra cui rientrano, evidentemente, non soltanto i mass media tradizionali (stampa, televisione, radio), ma anche quelli diffusisi con le nuove tecnologie (siti web, blog, social network, mailing list).
Si tratta di un reato contravvenzionale, quindi procedibile d'ufficio, e pertanto nessuna conseguenza in ordine alle statuizione penali può avere l'intervenuta remissione di querela e la successiva revoca della costituzione di parte civile da parte dei genitori in proprio e nell'interesse dei minori".
Così Cassazione penale, Sez. III, 12/12/2013, n. 2887
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Corte giustizia UE Grande Sezione
13/05/2014
n. 131
"Dati personali - Tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento di tali dati - Direttiva 95/46/CE - Articoli 2, 4, 12 e 14 - Ambito di applicazione materiale e territoriale - Motori di ricerca su Internet - Trattamento dei dati contenuti in siti web - Ricerca, indicizzazione e memorizzazione di tali dati - Responsabilità del gestore del motore di ricerca - Stabilimento nel territorio di uno Stato membro - Portata degli obblighi di tale gestore e dei diritti della persona interessata - Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - Articoli 7 e 8"
"1) L'articolo 2, lettere b) e d), della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, deve essere interpretato nel senso che, da un lato, l'attività di un motore di ricerca consistente nel trovare informazioni pubblicate o inserite da terzi su Internet, nell'indicizzarle in modo automatico, nel memorizzarle temporaneamente e, infine, nel metterle a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza, deve essere qualificata come 'trattamento di dati personali', ai sensi del citato articolo 2, lettera b), qualora tali informazioni contengano dati personali, e che, dall'altro lato, il gestore di detto motore di ricerca deve essere considerato come il 'responsabile' del trattamento summenzionato, ai sensi dell'articolo 2, lettera d), di cui sopra.
2) L'articolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 95/46 deve essere interpretato nel senso che un trattamento di dati personali viene effettuato nel contesto delle attività di uno stabilimento del responsabile di tale trattamento nel territorio di uno Stato membro, ai sensi della disposizione suddetta, qualora il gestore di un motore di ricerca apra in uno Stato membro una succursale o una filiale destinata alla promozione e alla vendita degli spazi pubblicitari proposti da tale motore di ricerca e l'attività della quale si dirige agli abitanti di detto Stato membro.
3) Gli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46 devono essere interpretati nel senso che, al fine di rispettare i diritti previsti da tali disposizioni, e sempre che le condizioni da queste fissate siano effettivamente soddisfatte, il gestore di un motore di ricerca è obbligato a sopprimere, dall'elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, dei link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona, anche nel caso in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, e ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sé lecita.
4) Gli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46 devono essere interpretati nel senso che, nel valutare i presupposti di applicazione di tali disposizioni, si deve verificare in particolare se l'interessato abbia diritto a che l'informazione in questione riguardante la sua persona non venga più, allo stato attuale, collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome, senza per questo che la constatazione di un diritto siffatto presupponga che l'inclusione dell'informazione in questione in tale elenco arrechi un pregiudizio a detto interessato. Dato che l'interessato può, sulla scorta dei suoi diritti fondamentali derivanti dagli articoli 7 e 8 della Carta, chiedere che l'informazione in questione non venga più messa a disposizione del grande pubblico in virtù della sua inclusione in un siffatto elenco di risultati, i diritti fondamentali di cui sopra prevalgono, in linea di principio, non soltanto sull'interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull'interesse di tale pubblico ad accedere all'informazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa persona. Tuttavia, così non sarebbe qualora risultasse, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, che l'ingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dall'interesse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso, in virtù dell'inclusione summenzionata, all'informazione di cui trattasi".
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Il Garante privacy ha avuto recentemente occasione di precisare che i dati personali devono essere esatti e aggiornati anche negli archivi giornalistici on-line.
Come si legge nella newsletter dell'Autorità, accogliendo i ricorsi [doc. web n. 2286820 e 2286432] di due cittadini, il Garante privacy ha infatti ordinato a un gruppo editoriale di aggiornare alcuni articoli presenti nell'archivio storico on-line di un suo quotidiano.
L'editore dovrà individuare modalità che segnalino al lettore l'esistenza di rilevanti sviluppi delle vicende che riguardano i due interessati (ad esempio, con un link, un banner o una nota all'articolo). L'adozione di questo accorgimento è in grado, infatti, afferma il Garante, di garantire alle persone il rispetto della propria identità, così come si è evoluta nel tempo, consentendo al lettore di avere un'informazione attendibile e completa.
I ricorrenti si erano rivolti all'Autorità per chiedere la rimozione dall'archivio storico on-line di alcuni articoli riguardanti gravi vicende giudiziarie in cui erano rimasti coinvolti o, quanto meno, l'integrazione o l'aggiornamento delle notizie con gli esiti delle successive sentenze, a seconda dei casi di proscioglimento, assoluzione o intervenuta prescrizione.
Nel riconoscere la liceità della conservazione degli articoli di cronaca nell'archivio storico on-line del quotidiano, l'Autorità, come in molti altri casi esaminati in passato, ha detto però no alla rimozione degli articoli (operazione che avrebbe alterato l'integrità dell'archivio), ma ha ritenuto che i ricorrenti avessero diritto ad ottenere l'aggiornamento o l'integrazione dei dati personali.
La decisione del Garante si pone in linea con una recente sentenza della Cassazione, la quale, nell'affrontare un caso analogo, ha statuito che per salvaguardare l'attuale identità sociale di una persona occorra garantire la contestualizzazione e l'aggiornamento della notizia di cronaca, attraverso il collegamento ad altre informazioni successivamente pubblicate.
Rileva in particolare il Garante in uno dei due provvedimenti citati:
« visto che a questo riguardo, come indispensabile corollario della riconosciuta liceità della conservazione degli articoli di cronaca a suo tempo pubblicati nella sezione del sito internet dell'editore resistente denominato archivio storico, va garantito il diritto (pienamente compreso fra le posizioni giuridiche azionabili ai sensi dell'art. 7 del Codice) dell'interessato ad ottenere l'aggiornamento/integrazione dei dati personali che lo riguardano quando eventi e sviluppi successivi abbiano modificato le situazioni oggetto di cronaca giornalistica (seppure a suo tempo corretta) incidendo significativamente sul profilo e l'immagine dell'interessato che da tali rappresentazioni può emergere;
RITENUTO che in questa prospettiva debbono essere richiamate le conclusioni cui è pervenuta recentemente la Suprema Corte di Cassazione (sentenza n. 5525/2012) che, giudicando su analoga fattispecie, ha statuito che "a salvaguardia dell'attuale identità sociale del soggetto (occorra) garantire al medesimo la contestualizzazione e l'aggiornamento della notizia già di cronaca che lo riguarda, e cioè il collegamento della notizia ad altre informazioni successivamente pubblicate, concernenti l'evoluzione della vicenda, che possano completare o financo radicalmente mutare il quadro evincentesi dalla notizia originaria, a fortiori se trattasi di fatti oggetto di vicenda giudiziaria, che costituisce anzi emblematico e paradigmatico esempio al riguardo". Se, pertanto, una vicenda ha registrato una successiva evoluzione, "dall'informazione in ordine a quest'ultima non può invero prescindersi, giacché altrimenti la notizia, originariamente completa e vera, diviene non aggiornata, risultando quindi parziale e non esatta, e pertanto sostanzialmente non vera";
RITENUTO, pertanto, che, visti i significativi sviluppi indicati specificamente dal ricorrente nell'interpello e nel successivo ricorso e riportati nelle premesse dell'odierno provvedimento, le predette richieste di integrazione/aggiornamento formulate dal ricorrente debbano essere accolte e che pertanto l'editore resistente debba provvedere a predisporre un idoneo sistema nell'ambito del citato archivio storico, idoneo a segnalare (ad esempio, a margine dei singoli articoli o in nota agli stessi) l'esistenza del seguito o dello sviluppo della notizia in modo da assicurare all'interessato il rispetto della propria (attuale) identità personale, quale risultato della completa visione di una serie di fatti che lo hanno visto protagonista e ad ogni lettore di ottenere un'informazione attendibile e completa (nel caso di specie dovrebbe darsi conto del completo proscioglimento dell'interessato da ogni addebito penale secondo le indicazioni formulate dall'interessato medesimo nell'atto di ricorso o con altra formulazione ritenuta idonea); visto che l'editore resistente dovrà attuare tali misure, tenuto conto della novità del profilo, entro novanta giorni dalla data di ricezione del presente provvedimento, dando comunicazione entro la stessa data all'interessato e a questa Autorità dell'avvenuto adempimento... ».
Per quanto riguarda, infine, la richiesta dei ricorrenti di rendere gli articoli inaccessibili dai comuni motori di ricerca, il Garante, si legge ancora nella newsletter, ha dichiarato non luogo a provvedere perché, seppur dopo la presentazione del ricorso, l'editore aveva adottato gli accorgimenti tecnologici per "deindicizzare" gli articoli. Uno dei due provvedimenti adottati dal Garante è stato d'altra parte impugnato dall'editore di fronte all'autorità giudiziaria.
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Note legali. Quanto precede non costituisce né sostituisce una consulenza legale. Testi senza carattere di ufficialità
« Il Garante fa rimuovere i dati personali dalle ordinanze di dieci Comuni. E sono in arrivo sanzioni
Sì alla trasparenza on line nella Pa, ma rispettando la dignità delle persone. Sui siti dei Comuni non possono essere pubblicati atti e documenti contenenti dati sullo stato di salute dei cittadini.
Il Garante per la privacy ha fatto oscurare dai siti web di dieci Comuni italiani, di piccola e media grandezza, i dati personali contenuti in alcune ordinanze con le quali i sindaci disponevano il trattamento sanitario obbligatorio per determinati cittadini. Nuovi provvedimenti sono in arrivo per altri Comuni.
Nelle ordinanze, con le quali i sindaci disponevano il ricovero immediato di diversi cittadini, erano infatti indicati "in chiaro" non solo i dati anagrafici (nome, cognome, luogo e data di nascita) e la residenza, ma anche la patologia della quale soffriva la persona (ad es. "infermo mentale"), o altri dettagli davvero eccessivi, quali ad esempio l'indicazione di "persona affetta da manifestazioni di ripetuti tentativi di suicidio". Il trattamento dei dati effettuato dai Comuni è risultato dunque illecito: come ha ricordato l'Autorità, le disposizioni del Codice della privacy, richiamate anche dalle Linee guida sulla trasparenza on line della Pa [doc. web n. 1793203] emanate dallo stesso Garante nel 2011, vietano espressamente la diffusione di dati idonei a rivelare lo stato di salute delle persone.
Le ordinanze, per giunta, oltre ad essere visibili e liberamente consultabili sui siti istituzionali dei Comuni, attraverso link che rimandavano all'archivio degli atti dell'ente, erano nella maggioranza dei casi facilmente reperibili anche sui più usati motori di ricerca, come Google: bastava digitare il nome e cognome delle persone.
Nel disporre il divieto di ulteriore diffusione dei dati, l'Autorità per la privacy ha prescritto alle amministrazioni comunali non solo di oscurare i dati personali, presenti nei provvedimenti, da qualsiasi area del sito, ma anche di attivarsi presso i responsabili dei principali motori di ricerca per fare in modo che vengano rimosse le copie web delle ordinanze e di tutti gli altri atti aventi ad oggetto il ricovero per trattamento sanitario obbligatorio dagli indici e dalla cache.
I Comuni, inoltre, per il futuro dovranno far sì che la pubblicazione di atti e documenti in Internet avvenga nel rispetto della normativa privacy e delle Linee guida in materia di trasparenza on line della Pa.
"La sacrosanta esigenza di trasparenza della Pubblica amministrazione - ha commentato Antonello Soro, Presidente dell'Autorità - non può trasformarsi in una grave lesione per la dignità dei cittadini interessati. Prima di mettere on line sui propri siti dati delicatissimi come quelli sulla salute, le pubbliche amministrazioni, a partire da quelle più vicine ai cittadini, come i Comuni, devono riflettere e domandarsi se stanno rispettando le norme poste a tutela della privacy. E devono evitare sempre di recare ingiustificato pregiudizio ai cittadini che amministrano. Oltretutto, errori gravi e scarsa attenzione alle norme comportano come conseguenza che il Garante debba poi applicare pesanti sanzioni" .
L'Autorità procederà, infatti, ad avviare nei confronti dei Comuni interessati le previste procedure sanzionatorie per trattamento illecito di dati personali ».
Fonte: www.garanteprivacy.it
A cura dell'Avvocato Giuseppe Briganti, avvbriganti.iusreporter.it
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