L'Avv.
Giuseppe Briganti è Avvocato in Urbino dal 2001 e mediatore
professionista e formatore nei corsi per mediatori dal 2011. Dal 2001
cura il sito www.iusreporter.it dedicato alla ricerca giuridica sul
Web e al diritto delle nuove tecnologie. Svolge attività di
docenza, è autore di pubblicazioni giuridiche e collabora con
riviste giuridiche
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<< Con l'impugnata sentenza è stata confermata la dichiarazione di colpevolezza di ... in ordine al reato p. e p. dagli artt. 81, 494 c.p., contestatogli "perchè, al fine di procurarsi un vantaggio e di recare un danno ad ..., creava un account di posta elettronica, ..., apparentemente intestato a costei, e successivamente, utilizzandolo, allacciava rapporti con utenti della rete internet al nome della ..., così induceva in errore sia il gestore del sito sia gli utenti, attribuendosi il falso nome della ...".
...
Oggetto della tutela penale,in relazione al delitto preveduto nell'art. 494 c.p. [sostituzione di persona], è l'interesse riguardante la pubblica fede, in quanto questa può essere sorpresa da inganni relativi alla vera essenza di una persona o alla sua indentità o ai suoi attributi sociali. E siccome si tratta di inganni che possono superare la ristretta cerchia d'un determinato destinatario, così il legislatore ha ravvisato in essi una costante insidia alla fede pubblica, e non soltanto alla fede privata e alla tutela civilistica del diritto al nome.
In questa prospettiva, è evidente la configurazione, nel caso concreto, di tutti gli elementi costitutivi della contestata fattispecie delittuosa >>.
Giurisprudenza
La presente sezione ha ad oggetto sentenze venute in rilievo relativamente ai casi e alle questioni trattati dallo studio legale
A cura dell'Avvocato Giuseppe Briganti, avvbriganti.iusreporter.it
Note legali. Quanto precede non costituisce né sostituisce una consulenza legale. Testi senza carattere di ufficialità
Diffamazione on-line: quando il sito web rappresenta il mezzo di divulgazione di un elaborato critico, destinato ad un numero indeterminato di lettori, rientra nella nozione di prodotto editoriale. Così Uff. Indagini preliminari Cassino, sez. II, 26 giugno 2009:
<< ...Ed invero (V. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27996 del 2004) l'art. 21/2 - 3 della Costituzione recita "La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili".
Il problema, dunque, è se la propalazione via internet di informazioni offensive possa equipararsi - ai fini della ammissibilità del sequestro, ed anche della sussistenza della (contestata) aggravante ex art. 595 c.3 c.p. - alla pubblicazione a mezzo stampa.
Il Pm ha risolto la questione - oggetto di vivaci dispute dottrinarie - richiamando la sentenza del Supremo Collegio, Sezione III, in data 11 dicembre 2008, massimata nel senso che "Le garanzie costituzionali in tema di sequestro della stampa non si applicano agli interventi effettuati su un "forum" di discussione nell'ambito di un sito internet, in quanto non rientrano nella nozione di "stampato" o "di prodotto editoriale" cui è estesa, ai sensi dell'art. 1 L n. 62 del 2001, la disciplina della legge sulla stampa".
Sennonché, nella motivazione della sentenza indicata, la Corte ha ulteriormente affermato come l'inclusione nella nozione di "stampa" dei nuovi mezzi di espressione del libero pensiero - quali "newsletter", "blog", "newsgroup", "mailing list", "chat", messaggi istantanei, etc. - non possa avvenire prescindendo dalle caratteristiche specifiche di ciascuno di essi, con ciò rimettendo all'apprezzamento dell'interprete la valutazione circa la specifica qualificazione di "prodotto editoriale".
Ed invero, nella sentenza richiamata, dopo aver opportunamente discriminato tra "diritto di libera manifestazione del pensiero" e "libertà di stampa", la Corte ha precisato come "gli interventi dei partecipanti al forum....non possono essere fatti rientrare nell'ambito della nozione di stampa, neppure nel significato più esteso ricavabile dalla L. 7 marzo 2001, n. 62, art. 1, che ha esteso l'applicabilità delle disposizioni di cui alla L. 8 febbraio 1948, n. 47, art. 2 (legge sulla stampa) al "prodotto editoriale", stabilendo che per tale, ai fini della legge stessa, deve intendersi anche il "prodotto realizzato... su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico. Il semplice fatto che i messaggi e gli interventi siano visionabili da chiunque, o almeno da coloro che si siano registrati nel forum, non fa sì che il forum stesso, che è assimilabile ad un gruppo di discussione, possa essere qualificato come un prodotto editoriale, o come un giornale online, o come una testata giornalistica informatica. Si tratta quindi di una semplice area di discussione, dove qualsiasi utente o gli utenti registrati sono liberi di esprimere il proprio pensiero, rendendolo visionabile a tutti gli altri soggetti autorizzati ad accedere al forum, ma non per questo il forum resta sottoposto alle regole ed agli obblighi cui è soggetta la stampa (quale quello di indicazione di un direttore responsabile o di registrazione) o può giovarsi delle guarentigie in tema di sequestro che l'art. 21 Cost., comma 3, riserva soltanto alla stampa, sia pure latamente intesa, ma non genericamente a qualsiasi mezzo e strumento con cui è possibile manifestare il proprio pensiero.
Anche la interpretazione evolutiva della norma costituzionale - osserva la Corte - al fine di adeguarla alle nuove tecnologie sopravvenute ed ai nuovi mezzi di espressione del libero pensiero non può, tout court, comportare che i nuovi mezzi di comunicazione del proprio pensiero (newsletter, blog, forum, newsgroup, mailing list, chat, messaggi istantanei, e così via) possano, tutti in blocco, solo perché tali, essere inclusi nel concetto di stampa ai sensi dell'art. 21 Cost., comma 3, prescindendo dalle caratteristiche specifiche di ciascuno di essi.
La sentenza richiamata, dunque, lungi dal risolvere - semplicisticamente - la nozione di "prodotto editoriale", si sforza di fornire al giudice del merito, attraverso una quaestio facti, gli strumenti ermeneutici onde pervenire alla esatta evocazione dei parametri ove ancorare le garanzie costituzionali ex art. 21.
Sicché, se i "messaggi lasciati su un forum di discussione (che, a seconda dei casi, può essere aperto a tutti indistintamente, o a chiunque si registri con qualsiasi pseudonimo, o a chi si registri previa identificazione) sono equiparabili ai messaggi che potevano e possono essere lasciati in una bacheca (sita in un luogo pubblico, o aperto al pubblico, o privato) e, così come quest'ultimi, anche i primi sono mezzi di comunicazione del proprio pensiero o anche mezzi di comunicazione di informazioni, ma non entrano (solo in quanto tali) nel concetto di stampa, sia pure in senso ampio, e quindi ad essi non si applicano le limitazioni in tema di sequestro previste dalla norma costituzionale "(ibidem), del tutto diversa la struttura e funzione del sito in disamina:
www... è sito, realizzato mediante la tecnica mirror (pagina web speculare di altra esistente), non strutturato quale social forum, blog o newsgroup, aperto ad un gruppo di interlocutori coinvolti in discussione, bensì contenente - sotto la voce "contributi" della home page - un elaborato critico, inerente le attività di rendicontazione finanziaria della ONLUS querelante, sicuramente suscettibile di censure (ed anche potenzialmente oggetto di tutela, in via di urgenza, davanti al Giudice Civile), ma non circoscrivibile ad un messaggio privo di portata editoriale.
Il sito, dunque, non può qualificarsi come un contesto dialogico, aperto ai contributi degli utenti, ma rappresenta il mezzo di divulgazione di un elaborato critico, destinato ad un numero indeterminato di lettori;
nello stesso sito, inoltre, esiste un link di collegamento ad un articolo de "..." inerente l'oggetto della critica, il che contribuisce vieppiù a conferire alla pubblicazione il carattere della editorialità.
Ed allora, ferma restando la potenziale rilevanza penale della propalazione e limitando l'analisi alla adottabilità del richiesto provvedimento cautelare, ritiene il Giudicante non sussistano le condizioni per disporre l'oscuramento del sito.
Anche la lamentata "clonazione" della pagina web relativa al sito ufficiale della ONLUS querelante è, peraltro, argomento - senz'altro spendibile in una eventuale azione d'urgenza inibitoria, di competenza del Giudice Civile - inidoneo a legittimare il vincolo cautelare richiesto dal PM.
In particolare, non è dato ravvisare nella concreta fattispecie alcuna lesione del buon costume, che legittimerebbe - invece - il richiesto provvedimento cautelare:
difatti (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 39354 del 27/09/2007 Cc. (dep. 24/10/2007) "....è legittimo il sequestro preventivo di messaggi ed annunci di contenuto osceno pubblicati su siti internet in quanto gli stessi sono equiparabili alle pubblicazioni a stampa, costituzionalmente vietate in caso di contrarietà al buon costume".
Il RD 561/46 - che non è stato abrogato dalla L. 47/48 sulla stampa, né dall'art. 1 L. 62/2001 - nell'art. 1, comma primo, prevede il divieto di sequestro delle pubblicazioni o stampati, salvo sentenza irrevocabile; il comma secondo recita: "è tuttavia consentito all'autorità giudiziaria di disporre il sequestro di non oltre tre esemplari dei giornali o delle altre pubblicazioni o stampati, che importino una violazione di legge penale".
Il sequestro cautelare dei prodotti editoriali è, dunque, previsto solo a fini probatori, non oltre il numero di copie prescritte.
In siffatta prospettiva, la normativa del regio decreto risponde complessivamente all'esigenza - costituzionale - di impedire, attraverso la via cautelare o giudiziaria d'urgenza, la censura preventiva della libertà di manifestazione; l'articolo 2 dello stesso decreto prevede, invece, in deroga alla precedente disposizione il "sequestro delle pubblicazioni o stampati che, ai sensi della legge penale, sono da ritenere osceni od offensivi della pubblica decenza ...".
In questo caso, il sequestro ha anche funzione preventiva (ancorché all'epoca l'istituto non fosse autonomamente previsto, ed è ovvio che il sequestro preventivo assorbe la funzione probatoria), perché la pubblicazione non manifesta un'opinione, che può o non essere offensiva, come al di là del fumus, deve stabilire il giudice nel processo (non l'autorità giudiziaria in via provvisoria), bensì incide direttamente sul buon costume. Questa disposizione, pertanto, si riallaccia alla diversa previsione Costituzionale dell'art. 19, del limite eccezionale della libertà di manifestazione del pensiero.
Introdotto in forma autonoma l'istituto del sequestro preventivo nel codice del 1988, l'impedimento dell'aggravamento del danno o della protrazione delle sue conseguenze (periculum in mora) non può, dunque, per il fumus di un reato (di opinione), ritenersi idoneo a consentire il superamento del limite di cui al R.D. 541/46, salvo appunto porsi in contrasto con il dettato della Costituzione (V. pure Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15961 del 24/01/2006 circa la inidoneità del sequestro di tre esemplari rispetto alle finalità preventive).
In buona sostanza, il sequestro preventivo di pubblicazioni a mezzo stampa è consentito solo in caso di violazioni rilevanti ex art. 1 comma 2 R. D. 561/46, trattandosi di norma speciale non analogicamente estensibile a fattispecie - quale quella in esame - (pluri)offensiva di diversi beni-interessi, ritenuti comunque recessivi rispetto alla salvaguardia della libertà di manifestazione del pensiero... >>.
Giurisprudenza
La presente sezione ha ad oggetto sentenze e altri provvedimenti venuti in rilievo relativamente ai casi e alle questioni trattati dallo studio legale
A cura dell'Avvocato Giuseppe Briganti, avvbriganti.iusreporter.it
Note legali. Quanto precede non costituisce né sostituisce una consulenza legale. Testi senza carattere di ufficialità
Cassazione civile, sez. II, 21 febbraio 2008, n. 4523:
"Secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, la tutela apprestata al committente dall'art. 1668 c.c., si inquadra nell'ambito della normale responsabilità contrattuale per inadempimento e, pertanto, qualora l'appaltatore non provveda direttamente alla eliminazione dei vizi e dei difetti dell'opera, il committente, ove non intenda ottenere l'affermazione giudiziale dell'inadempimento con la relativa condanna dell'appaltatore e l'attuazione dei suoi diritti nelle forme dell'esecuzione specifica ex art. 2931 c.c., può sempre chiedere il risarcimento del danno, nella misura corrispondente alla spesa necessaria alla eliminazione dei vizi, senza alcuna necessità del previo esperimento dell'azione di condanna alla esecuzione specifica (Cass. n. 11602/2002, n. 169/1996 ed altre conformi)".
Giurisprudenza
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<< Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte l'elemento decisivo che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato dal lavoro autonomo è l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro ed il conseguente inserimento del lavoratore in modo stabile ed esclusivo nell'organizzazione aziendale.
Costituiscono poi indici sintomatici della subordinazione, valutabili dal giudice del merito sia singolarmente che complessivamente, l'assenza del rischio di impresa, la continuità della prestazione, l'obbligo di osservare un orario di lavoro, la cadenza e la forma della retribuzione, l'utilizzazione di strumenti di lavoro e lo svolgimento della prestazione in ambienti messi a disposizione dal datore di lavoro (vedi tra le tante Cass. n. 21028/2006, n. 4171/2006, n. 20669/2004) >>.
Giurisprudenza
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Fa discutere in questi giorni - e a ragione, a parere dello scrivente - il provvedimento cautelare del Tribunale di Roma (15/12/2009, dep. 16/12/2009) pronunciato nella controversia che vede coinvolto YouTube, accusato da Mediaset, tra l'altro, di violazione dei diritti d'autore relativamente ai video del reality Grande Fratello 10 pubblicati dagli utenti del sito.
Il Tribunale di Roma ha ordinato, in via cautelare, a YouTube la immediata rimozione dai propri server e la conseguente disabilitazione all'accesso di tutti i contenuti riproducenti sequenze di immagini fisse o in movimento relative al programma Grande Fratello decima edizione, motivando la propria decisione, tra l'altro, come segue:
<< ...ritenuto che, a fronte di una condotta così palesemente e reiteratamente lesiva dei diritti non è sostenibile la tesi delle resistenti su una presunta assoluta irresponsabilità del provider che si limiterebbe a svolgere l'unica funzione di mettere a disposizione gli spazi web sui quali gli utenti gestirebbero i contenuti dagli stessi caricati e sulla legittimità di avere un ritorno economico - escludendo il fine commerciale - connesso al proprio servizio in mancanza di un obbligo di controllare i contenuti illeciti e disabilitarne l'accesso; tali asserzioni infatti sono smentite dagli stessi scritti difensivi delle convenute nonché dalla documentazione prodotta in giudizio relativa alle indicazioni desumibili sui siti YouTube e Google riguardanti "le regole" stabilite dal provider, che consentono la esclusione di contenuti pedopornografici, prevedono l'accettazione dell'utente di ogni aggiornamento deciso da YouTube, il diritto di controllare i contributi, la assoluta discrezionalità nell'interrompere in maniera temporanea o permanente la fornitura del servizio "in qualsiasi momento, senza previo avviso ed a sua esclusiva discrezione" nonché il diritto di risolvere il contratto con l'utente quando la fornitura non è più "vantaggiosa dal punto di vista commerciale";
ritenuto che del resto la normativa - vedi dlgs n. 70/2003 - e la giurisprudenza sta ormai orientandosi nel senso di una valutazione caso per caso della responsabilità del provider che seppur non è riconducibile ad un generale obbligo di sorveglianza rispetto al contenuto non ritenendosi in grado di operare una verifica di tutti i dati trasmessi che si risolverebbe in una inaccettabile responsabilità oggettiva, tuttavia assoggetta il provider a responsabilità quando non si limiti a fornire la connessione alla rete, ma eroghi servizi aggiuntivi (per es. caching, hosting) e/o predisponga un controllo delle informazioni e, soprattutto quando, consapevole della presenza di materiale sospetto si astenga dall'accertarne la illiceità e dal rimuoverlo o se consapevole dell'antigiuridicità ometta di intervenire; nella specie innegabile ed evidente è la responsabilità delle convenute che, oltre ad organizzare la gestione dei contenuti video, anche a fini di pubblicità (raccolta con le diverse modalità disponibili sulla Rete), nonostante le ripetute diffide e le azioni giudiziarie iniziate da RTI e la consapevolezza della sua titolarità dell'opera hanno continuato la trasmissione del Grande Fratello - visibile 24 ore su 24 accedendo al servizio a pagamento offerto da RTI - nei loro siti internet programmandone e disciplinandone la visione ove si consideri che è possibile in tali siti anche scegliere le singole parti di trasmissione (un giorno, un episodio particolare) ad ulteriore, anche se non necessaria conferma, della consapevolezza della violazione dei diritti sicuramente inconciliabile con l'addotta semplice "messa a disposizione della piattaforma";
ritenuto che per la violazione in questione non possono valere le eccezioni e limitazioni di cui all'art. 65 Lda relative all'esercizio del diritto di cronaca o dell'art. 70 Lda della utilizzazione di brani o di parti di opera ad uso di critica e discussione in quanto, come si è detto, nella fattispecie è evidente il fine puramente commerciale della diffusione di un programma che è notoriamente riconosciuto come il reality più importante e famoso della tv italiana peraltro effettuato su pagine web sulle quali vi è una notevole pubblicizzazione commerciale (vedi perizia di parte allegata al ricorso e documentazione notarile)... >>
Il decreto legislativo 70/2003 richiamato dal provvedimento del Tribunale di Roma di cui sopra regola, come noto, la responsabilità dei provider ("prestatori intermediari"), in attuazione di una direttiva europea. Si riportano le norme rilevanti:
Art. 14
(Responsabilità dell'attività di semplice trasporto - Mere conduit -)
1. Nella prestazione di un servizio della società dell'informazione consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio, o nel fornire un accesso alla rete di comunicazione, il prestatore non è responsabile delle informazioni trasmesse a condizione che:
a) non dia origine alla trasmissione;
b) non selezioni il destinatario della trasmissione;
c) non selezioni né modifichi le informazioni trasmesse.
2. Le attività di trasmissione e di fornitura di accesso di cui al comma 1 includono la memorizzazione automatica, intermedia e transitoria delle informazioni trasmesse, a condizione che questa serva solo alla trasmissione sulla rete di comunicazione e che la sua durata non ecceda il tempo ragionevolmente necessario a tale scopo.
3. L'autorità giudiziaria o quella amministrativa, avente funzioni di vigilanza, può esigere, anche in via d'urgenza, che il prestatore, nell'esercizio delle attività di cui al comma 2, impedisca o ponga fine alle violazioni commesse.
Art. 15
(Responsabilità nell'attività di memorizzazione temporanea - caching -)
1. Nella prestazione di un servizio della società dell'informazione, consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non è responsabile della memorizzazione automatica, intermedia e temporanea di tali informazioni effettuata al solo scopo di rendere più efficace il successivo inoltro ad altri destinatari a loro richiesta, a condizione che:
a) non modifichi le informazioni;
b) si conformi alle condizioni di accesso alle informazioni;
c) si conformi alle norme di aggiornamento delle informazioni, indicate in un modo ampiamente riconosciuto e utilizzato dalle imprese del settore;
d) non interferisca con l'uso lecito di tecnologia ampiamente riconosciuta e utilizzata nel settore per ottenere dati sull'impiego delle informazioni;
e) agisca prontamente per rimuovere le informazioni che ha memorizzato, o per disabilitare l'accesso, non appena venga effettivamente a conoscenza del fatto che le informazioni sono state rimosse dal luogo dove si trovavano inizialmente sulla rete o che l'accesso alle informazioni è stato disabilitato oppure che un organo giurisdizionale o un'autorità amministrativa ne ha disposto la rimozione o la disabilitazione.
2. L'autorità giudiziaria o quella amministrativa aventi funzioni di vigilanza può esigere, anche in via d'urgenza, che il prestatore, nell'esercizio delle attività di cui al comma 1, impedisca o ponga fine alle violazioni commesse.
Art. 16
(Responsabilità nell'attività di memorizzazione di informazioni - hosting -)
1. Nella prestazione di un servizio della società dell'informazione, consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non è responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore:
a) non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l'attività o l'informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l'illiceità dell'attività o dell'informazione;
b) non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l'accesso.
2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano se il destinatario del servizio agisce sotto l'autorità o il controllo del prestatore.
3. L'autorità giudiziaria o quella amministrativa competente può esigere, anche in via d'urgenza, che il prestatore, nell'esercizio delle attività di cui al comma 1, impedisca o ponga fine alle violazioni commesse.
Art. 17
(Assenza dell'obbligo generale di sorveglianza)
1. Nella prestazione dei servizi di cui agli articoli 14, 15 e 16, il prestatore non è assoggettato ad un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmette o memorizza, ne ad un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino fa presenza di attività illecite.
2. Fatte salve le disposizioni di cui agli articoli 14, 15 e 16, il prestatore è comunque tenuto:
a) ad informare senza indugio l'autorità giudiziaria o quella amministrativa avente funzioni di vigilanza, qualora sia a conoscenza di presunte attività o informazioni illecite riguardanti un suo destinatario del servizio della società dell'informazione;
b) a fornire senza indugio, a richiesta delle autorità competenti, le informazioni in suo possesso che consentano l'identificazione del destinatario dei suoi servizi con cui ha accordi di memorizzazione dei dati, al fine di individuare e prevenire attività illecite.
3. Il prestatore è civilmente responsabile del contenuto di tali servizi nel caso in cui, richiesto dall'autorità giudiziaria o amministrativa avente funzioni di vigilanza, non ha agito prontamente per impedire l'accesso a detto contenuto, ovvero se, avendo avuto conoscenza del carattere illecito o pregiudizievole per un terzo del contenuto di un servizio al quale assicura l'accesso, non ha provveduto ad informarne l'autorità competente.
Il testo completo del provvedimento del Tribunale di Roma (tgcom)
Per un approfondimento sul tema della responsabilità dei provider alla luce del decreto legislativo 70/2003 rimando a due miei scritti di qualche anno fa consultabili qui (capitolo IV) e qui
Ne parlano in Rete:
Avv. Giuseppe Briganti
Testi senza carattere di ufficialità
Il Garante per la protezione dei dati personali ha avuto recentemente occasione di stabilire (provv. 12/11/2009) che non è possibile sfruttare commercialmente l'immagine di una persona, anche se nota, senza il suo consenso.
Come può leggersi nella newsletter del Garante n. 333 dell'11/01/2010, l'Autorità ha affrontato il caso di una donna di spettacolo, impegnata anche in politica, che aveva casualmente scoperto la sua fotografia su alcuni volantini pubblicitari utilizzati per reclamizzare servizi odontoiatrici. L'interessata aveva diffidato il centro dentistico dal proseguire il volantinaggio ma, dopo aver scoperto che le pubblicità erano ancora in distribuzione presso una delle sedi dello studio, aveva chiesto l'intervento del Garante.
<< Dagli accertamenti avviati dall'Autorità è emerso che lo studio professionale aveva scaricato la fotografia della donna da un sito web e, senza il consenso dell'interessata, l'aveva poi stampata su 50.000 volantini.
L'Autorità - anche sulla base di quanto stabilito dalla disciplina sul diritto d'autore - ha sottolineato che la riproduzione e la divulgazione del ritratto di una persona nota senza il suo consenso, anche nel caso in cui si tratta di un'immagine liberamente reperibile su internet, è lecita soltanto se risponde a esigenze di "pubblica informazione" e non ad altre finalità, in particolare quelle commerciali.
Essendo stati violati i principi di liceità e correttezza fissati dal Codice privacy, il Garante ha dunque vietato allo studio dentistico l'ulteriore trattamento, in qualunque forma, della foto della donna, inclusa la distribuzione, presso le diverse sedi, dei volantini già stampati.
L'Autorità ha, inoltre, avviato un autonomo procedimento per l'eventuale contestazione delle sanzioni amministrative relative alle violazioni alla normativa sulla privacy commesse dallo studio dentistico >>.
In un altro caso di cui viene data notizia nella medesima newsletter, il Garante ha affermato inoltre che non si possono scattare e diffondere fotografie, anche di personaggi famosi, violando la riservatezza di dimore private protette alla vista esterna. Nessun problema, invece, riguardo a foto scattate in luoghi visibili al pubblico.
Il provvedimento del Garante (provv. 22/12/2009) è giunto in risposta alla segnalazione dell'attore George Clooney che lamentava la pubblicazione, da parte di alcune testate giornalistiche, di immagini che lo ritraevano con alcuni ospiti all'interno del parco della sua villa.
<< Alcune fotografie oggetto della segnalazione mostrano persone che si trovavano all'interno del giardino della villa, in zone circondate da un'alta siepe o da un muro di cinta che impediscono ai passanti la vista. Dagli accertamenti del Garante è emerso che tali immagini sono state raccolte con espedienti (ad esempio, aprendo dei varchi nella siepe), violando così la ragionevole aspettativa di intimità e riservatezza creata dalla barriera visiva posta a protezione della dimora privata. Le modalità con cui sono state acquisite queste immagini - ha sottolineato l'Autorità - contrastano con quelle garanzie di trasparenza e di correttezza che devono caratterizzare la raccolta di dati personali a cui si devono attenere i giornalisti nell'esercizio della loro attività, indipendentemente dalla notorietà dei personaggi coinvolti.
Altre fotografie, invece, sono state scattate in luoghi normalmente visibili dall'esterno, ad esempio, presso la scalinata di accesso alla villa, o l'affaccio di un balcone. In questo caso, l'Autorità ha ritenuto leciti gli scatti, in quanto ritraggono le persone in luoghi pubblici o, comunque, aperti al pubblico, oppure in aree "per loro natura esposte alla visibilità da parte di terzi".
Il Garante ha dunque vietato il trattamento e l'ulteriore diffusione delle immagini raccolte in modo illegittimo e ha altresì prescritto alle tre testate giornalistiche, alle agenzie e ai fotografi coinvolti di informare sugli esiti del provvedimento tutti coloro ai quali sono state eventualmente cedute le fotografie sottoposte a divieto >>.
Giurisprudenza
La presente sezione ha ad oggetto sentenze e altri provvedimenti venuti in rilievo relativamente ai casi e alle questioni trattati dallo studio legale o particolarmente interessanti con riferimento alle materie trattate dallo studio legale
A cura dell'Avvocato Giuseppe Briganti, avvbriganti.iusreporter.it
Note legali. Quanto precede non costituisce né sostituisce una consulenza legale. Testi senza carattere di ufficialità
Il Tribunale di Milano ha oggi condannato tre dirigenti di Google accusati di diffamazione e violazione della privacy per non avere impedito nel 2006 la pubblicazione su YouTube del video del noto caso Vividown.
Per segnalazioni e aggiornamenti sulla sentenza segui Iusreporter.it su Twitter:

La Corte di Cassazione, con la sentenza 17 febbraio 2010, n. 3817, ha avuto modo di affermare quanto segue:
"[...] In assenza di una definizione normativa del concetto di 'format', cioè della cd. idea base di programma televisivo come modello da ripetere anche da altre emittenti o in altre occasioni, non può che farsi riferimento a quanto risulta dal bollettino ufficiale della SIAE n. 66 del 1994, p. 546, in ordine ad esso ai fini del deposito delle opere dell'ingegno [...]
Per la SIAE 'si intende per formato l'opera d'ingegno, avente struttura originale esplicativa di uno spettacolo e compiuta nelle articolazioni delle sue fasi sequenziali e tematiche, idonea ad essere rappresentata in un'azione radiotelevisiva o teatrale, immediatamente o attraverso interventi di adattamento o di elaborazione o di trasposizione, anche in vista della creazione di multipli. Ai fini della tutela, l'opera deve presentare i seguenti elementi qualificanti: titolo, struttura narrativa di base, apparato scenico e personaggi fissi' [...]
Anche per la prevalente giurisprudenza di legittimità, il contenuto dell'opera rileva in quanto sia configurabile una forma o struttura esplicativa del programma, che nel caso si è negato esservi, con motivazione concisa ma sufficiente a escludere la tutela domandata (così con Cass. cit. n. 5089/04, cfr. Cass. 23 novembre 2005 n. 24594 e 24 luglio 2006 n. 16888) [...]".
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Note legali. Quanto precede non costituisce né sostituisce una consulenza legale. Testi senza carattere di ufficialità
Il Garante per la protezione dei dati personali, come si legge nella newsletter dell'Autorità, è recentemente intervenuto per bloccare le videoriprese effettuate dalla titolare di una ditta che aveva installato una webcam all'interno di due negozi a scopo di sicurezza, ma senza rispettare le norme dello Statuto dei lavoratori che vietano il controllo a distanza dei dipendenti.
Intervenuto a seguito della segnalazione di un ex addetta ai punti vendita, il Garante ha accertato che il dispositivo era stato installato senza che vi fossero cartelli che ne segnalassero la presenza e soprattutto senza rispettare le procedure previste a tutela dei lavoratori.
Norme che obbligano il datore di lavoro - nei casi in cui per specifiche esigenze organizzative e di sicurezza abbia necessità di istallare nello spazio lavorativo impianti audiovisivi o altre apparecchiature analoghe - ad un previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna, o a ricorrere infine all'Ispettorato del lavoro.
La titolare della ditta si era invece limitata ad informare sommariamente i lavoratori della presenza delle telecamere.
L'Autorità ha osservato, inoltre, si legge ancora nella newsletter, che anche laddove vi fosse un uso sporadico delle telecamere, come nel caso di uno dei due negozi, la giurisprudenza della Cassazione afferma che il divieto di controllo a distanza dell'attività lavorativa non è escluso dal fatto che esso "sia destinato ad essere discontinuo perché esercitato in locali dove i lavoratori possono trovarsi solo saltuariamente".
Il Garante, con un provvedimento di cui è stato relatore Giuseppe Chiaravalloti, ha dunque disposto il blocco del trattamento illecito in attesa dell'eventuale attuazione delle procedure previste dallo Statuto ed ha trasmesso all'autorità giudiziaria copia degli atti per l'accertamento di eventuali profili penali.
Fonte: www.garanteprivacy.it, newsletter n. 340 del 19 luglio 2010
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Note legali. Quanto precede non costituisce né sostituisce una consulenza legale. Testi senza carattere di ufficialità
L'affissione nella bacheca dell'androne condominiale del dato personale concernente le posizioni di debito del singolo condomino va al di là della giustificata comunicazione dell'informazione ai soggetti interessati nell'ambito della compagine condominiale; tale affissione, infatti, avvenendo in uno spazio accessibile al pubblico, non solo non è necessaria ai fini dell'amministrazione comune, ma, soprattutto, si risolve nella messa a disposizione di quei dati in favore di una serie indeterminata di persone estranee e, quindi, in una indebita diffusione, come tale illecita e fonte di responsabilità civile, ai sensi del Codice della privacy.
Così Cassazione civile sez. II, 4 gennaio 2011, n. 186:
« [...] 2.1.1. - Occorre premettere che i dati riferiti ai singoli partecipanti al condominio, raccolti ed utilizzati per le finalità riconducibili alla disciplina civilistica di cui all'art. 1117 c.c. e ss., ed alle relative norme di attuazione, ivi compresi quelli relativi alle posizioni debitorie di ciascuno nei confronti della collettività condominiale, costituiscono dati personali, ai sensi dell'art. 4, comma 1, lett. b).
Infatti, l'elemento qualificante dell'informazione, perchè possa essere considerata dato personale, è rappresentato esclusivamente dal fatto che essa si riferisca ad un soggetto determinato o determinabile.
La misura in cui ciascun condomino è tenuto a partecipare alle spese condominiali e i dati relativi alla mora nel pagamento dei contributi, hanno certamente una valenza contabile, di interesse ai fini della gestione collettiva, ma ciò non fa venir meno la loro natura di dati personali, soggetti, in quanto tali, alla disciplina del codice e alle regole generali per il trattamento che esso delinea.
Affinchè questa disciplina sia applicabile, non occorre che il dato sia anche sensibile (ossia idoneo a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, ovvero, ancora, idoneo a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale), giacchè l'appartenenza dell'informazione alla sottoclasse dei dati sensibili comporta la previsione di una disciplina di tutela e di garanzia ulteriore contro i rischi della circolazione (v., ad esempio, l'art. 26 del codice), in considerazione della intrinseca attitudine di questi dati ad essere strumentalizzati per fini discriminatori.
2.1.2. - In ambito condominiale, le informazioni relative al riparto delle spese, all'entità del contributo dovuto da ciascuno e alla mora nel pagamento degli oneri pregressi possono senz' altro essere oggetto di trattamento, anche senza il consenso dell'interessato, come si ricava dall'art. 24 del codice.
Difatti, le attività di gestione ed amministrazione delle parti comuni implicano che l'amministratore possa procedere alla raccolta, registrazione, conservazione, elaborazione e selezione delle informazioni concernenti le posizioni di dare ed avere dei singoli partecipanti al condominio. Del pari, ragioni di buon andamento e di trasparenza giustificano una comunicazione di questi dati a tutti i condomini, non solo su iniziativa dell'amministratore in sede di rendiconto annuale o di assemblea ovvero nell'ambito delle informazioni periodiche trasmesse nell'assolvimento degli obblighi scaturenti dal mandato ricevuto, ma anche su richiesta di ciascun condomino, essendo questi investito di un potere di vigilanza e di controllo sull'attività di gestione delle cose, dei servizi e degli impianti comuni, che lo abilita a domandare in ogni tempo all'amministratore informazioni sulla situazione contabile del condominio, comprese quelle che riguardano eventuali posizioni debitorie degli altri partecipanti.
Il trattamento dei dati personali, per essere lecito, deve tuttavia avvenire nell'osservanza dei principi di proporzionalità, di pertinenza e di non eccedenza rispetto agli scopi per i quali i dati stessi sono raccolti (art. 11 del codice).
Sull'amministratore del condominio, pertanto, grava il dovere di adottare le opportune cautele per evitare l'accesso a quei dati da parte di persone estranee al condominio.
Ora, l'affissione nella bacheca dell'androne condominiale del dato personale concernente le posizioni di debito del singolo condomino va al di là della giustificata comunicazione dell'informazione ai soggetti interessati nell'ambito della compagine condominiale; tale affissione, infatti, avvenendo in uno spazio accessibile al pubblico, non solo non è necessaria ai fini dell'amministrazione comune, ma, soprattutto, si risolve nella messa a disposizione di quei dati in favore di una serie indeterminata di persone estranee e, quindi, in una indebita diffusione, come tale illecita e fonte di responsabilità civile, ai sensi degli artt. 11 e 15 del codice [...] »
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Giurisprudenza
La presente sezione ha ad oggetto sentenze e altri provvedimenti venuti in rilievo relativamente ai casi e alle questioni trattati dallo studio legale o particolarmente interessanti con riferimento alle materie trattate dallo Studio legale
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